A cura della Linea di Ricerca su Metodi fisici per la valutazione dell'esposizione umana ai campi elettromagnetici. Daniele Andreuccetti, 2000.

CAMPI ELETTRICI, MAGNETICI ED ELETTROMAGNETICI
A BASSA FREQUENZA, RADIOFREQUENZA E MICROONDE

Estratto dall'articolo "Elementi di fisica delle onde elettromagnetiche e nozioni di base sugli indicatori di rischio" di D.Andreuccetti, M.Poli e P.Zanichelli, pubblicato sugli Atti del Convegno Nazionale dBA-1998 "Dal rumore ai rischi fisici", Modena, 17-19 settembre 1998

Daniele Andreuccetti

Consiglio Nazionale delle Ricerche
Istituto di Ricerca sulle Onde Elettromagnetiche "Nello Carrara"
Via Panciatichi, 64 - 50127 FIRENZE


1 - Introduzione

   La questione della possibile pericolosità dei campi elettromagnetici (CEM) "non ionizzanti" (cioè, in questo contesto, di frequenza compresa tra pochi hertz e qualche centinaio di gigahertz) è emersa nel secondo dopoguerra, come conseguenza dello sviluppo delle applicazioni di questo agente fisico, all'inizio soprattutto in ambito militare (radar e telecomunicazioni).

   Successivamente, la diffusione nei Paesi industrializzati delle applicazioni civili dei CEM (telecomunicazioni, controllo del traffico aereo, processi industriali, diagnosi e terapia medica, per citarne solo alcune) e l'utilizzo di tecnologie che in qualche modo li producono e diffondono nell'ambiente (trasmissione dell'energia elettrica, per esempio) hanno determinato un significativo aumento della loro presenza sul territorio, provocando ben presto una reazione di preoccupazione, quando non di vero e proprio allarme, nella popolazione esposta, non più limitata alle categorie dei militari e degli addetti all'industria.

   A partire dalla fine degli anni '70, in Italia sono intervenute in questa situazione prima la comunità scientifica e successivamente organi di sorveglianza sanitaria ed ambientale appositamente istituiti con lo scopo di individuare ed applicare norme di sicurezza e procedure di valutazione del rischio.

   Sul piano sanitario, i primi effetti dannosi riportati come conseguenza dell'esposizione ad intensi CEM (cataratta, sterilità) erano di tipo indiscutibilmente termico, essendo imputabili al surriscaldamento di alcuni organi bersaglio particolarmente vulnerabili (cristallino, gonadi). Dal punto di vista normativo, si delinearono ben presto due scuole di pensiero. La prima, tipica dei paesi occidentali, vedeva in questi effetti termici l'unico meccanismo di azione dei CEM e portava quindi a normative miranti a difendere gli esposti da eccessivo riscaldamento locale o sistemico. La seconda, diffusa nei paesi dell'est europeo, dava credito all'esistenza di una multiforme casistica di effetti non termici, consistenti principalmente in disturbi più o meno soggettivi, ricondotti ad alterazioni del sistema nervoso che sembravano conseguenti ad una esposizione prolungata (cronica) a CEM di livelli anche molto bassi; questo approccio conduceva a fissare soglie di sicurezza notevolmente più basse di quelle termiche (anche 1000 volte, in termini di potenza).

   Attualmente, non essendo stato possibile accertare e descrivere quantitativamente gli effetti non termici, non è rimasta praticamente più traccia di questa seconda impostazione e le norme di sicurezza emanate dalle varie istituzioni internazionali si riferiscono unicamente agli effetti termici, per frequenze superiori a circa un centinaio di chilohertz, ed agli effetti acuti imputabili alla densità di corrente indotta, per frequenze più basse.

   Esiste un'altra problematica che la ricerca scientifica non ha finora potuto dirimere definitivamente, anch'essa di vecchia data, ma che recentemente ha riscosso molto interesse nei media e nell'opinione pubblica: si tratta della possibilità che le esposizioni croniche ai CEM anche di basso livello possano favorire l'insorgere di alcune patologie tumorali; la più dibattuta, perché supportata da un grande numero di indagini epidemiologiche più o meno controverse, è l'associazione tra esposizione al campo magnetico a 50 Hz (generato per esempio da elettrodotti ed elettrodomestici) e l'incidenza di alcune forme di leucemia infantile.

2 - Motivi di allarme nella popolazione

   La situazione sopra descritta ha finito col generare nella popolazione una notevole apprensione per tutto quello che riguarda i campi elettromagnetici, riconducibile al almeno quattro diverse concause che può valer la pena elencare.

  1. Esiste in alcuni casi un notevole differenziale tra i limiti di sicurezza previsti dalle normative vigenti e le soglie a cui sono associati alcuni effetti (gravi ma non del tutto accertati) legati alle esposizioni croniche; ciò genera evidentemente una sensazione di scarsa tutela. Infatti:
  2. Il campo elettromagnetico non può essere percepito sensorialmente; l'impossibilità di avvertire coscientemente l'esposizione genera un senso di disagio ed insicurezza.
  3. Benché si riconoscano i vantaggi sociali delle applicazioni dei campi elettromagnetici, i soggetti esposti hanno l'impressione che si sia di fronte ad un caso di socializzazione del beneficio e distribuzione disuniforme del rischio.
  4. Talvolta l'aspetto sanitario è chiamato in causa per rafforzare una avversione ad una sorgente di campi elettromagnetici (radar, elettrodotti, impianti per telecomunicazioni) innescata inizialmente ad altri fattori (tutela del paesaggio o altro).

3 - Istituzioni attive in Italia

   In tutti i Paesi industrializzati sono all'opera gruppi di ricerca e sono stati istituti organi di sorveglianza con lo scopo di approfondire la conoscenza sulla pericolosità dei CEM e tutelare la popolazione dalle esposizioni potenzialmente nocive.

   In Italia, specialisti operano in vari organismi pubblici: sedi universitarie (dipartimenti di fisica, ingegneria e medicina), enti pubblici di ricerca (CNR, ENEA), Istituto Superiore di Sanità (ISS), Istituto Superiore per la Prevenzione E la Sicurezza del Lavoro (ISPESL), Agenzie Nazionale e Regionali per la Protezione dell'Ambiente (ANPA, ARPA), servizi ospedalieri di fisica sanitaria e servizi di base (igiene pubblica, medicina del lavoro) di alcune Aziende Sanitarie Locali.

   Secondariamente, al problema si interessano anche istituzioni private, soprattutto piccole ditte di consulenza (in crescita, nate al seguito della legge 626) e, in misura minore, aziende che vogliono risolvere al proprio interno problemi di esposizione ai CEM legati alle tecnologie impiegate.

   L'attività delle istituzioni che operano nel campo della protezionistica dei CEM copre un ampio ventaglio di settori: sviluppo di strumentazione, di procedure di misura e calibrazione, di codici di calcolo per valutazioni teoriche; sorveglianza fisica (esecuzione di campagne di misura) sul territorio e nelle aziende; studio dei modelli dosimetrici; analisi ed elaborazione di standard di esposizione; sviluppo e messa in opera di tecniche di risanamento; ideazione ed applicazione di metodologie per la sorveglianza sanitaria; formazione professionale a vari gradi e livelli.

4 - Tipologia delle più comuni sorgenti di CEM nell'ambiente

   Allo stato attuale, le applicazioni dei CEM e le altre tecnologie che comunque portano a disperdere CEM nell'ambiente investono numerosissimi settori della società, per cui l'elenco che segue sarà necessariamente sommario e forse incompleto.

Ambito industriale e medico:
Ambito domestico e di ufficio:
Ambiente esterno:

5 - Interazione, effetto, danno

   Nella letteratura che si occupa di protezione dai CEM compaiono spesso termini quali "interazione", "effetto biologico" "rischio" e "danno", usati talvolta impropriamente, specie nella stampa non specialistica. È pertanto opportuno spendere qualche parola per chiarire la terminologia.

   Quando un organismo biologico (per esempio un individuo) si trova immerso in un campo elettromagnetico, ha inevitabilmente luogo una interazione tra le forze del campo e le cariche e le correnti elettriche presenti nei tessuti dell'organismo. Come conseguenza dell'interazione, all'interno dell'organismo vengono indotte grandezze fisiche (campo elettrico, campo magnetico, densità di corrente) legate alla intensità ed alla frequenza dei campi, alle caratteristiche dell'organismo ed alle modalità di esposizione.

   Il risultato della interazione è sempre una "perturbazione" intesa come deviazione dalle condizioni di equilibrio elettrico a livello molecolare; per poter parlare propriamente di effetto biologico, si deve però verificare una variazione (morfologica o funzionale) in strutture di livello superiore (tessuti, organi, sistemi). Un effetto biologico non costituisce necessariamente un danno: perché questo si verifichi, occorre che l'effetto superi la capacità di compensazione di cui dispone l'organismo, che dipende ovviamente anche dalle condizioni ambientali.

   Col termine rischio, infine, si vuole in genere indicare la probabilità di subire un danno: in linea di principio, le norme di sicurezza dovrebbero mirare proprio a proteggere gli individui dal rischio di subire un danno a causa dell'esposizione ad un campo elettromagnetico, il che in genere significa fissare dei valori limite di esposizione che siano sufficientemente al di sotto dei livelli che provocano effetti biologici accertati.

   Possiamo tentare una classificazione sommaria degli effetti biologici dei campi elettromagnetici, basata sulla distinzione tra effetti acuti e cronici.

6 - Modello di interazione

   Schematicamente, l'interazione tra un campo elettromagnetico ed un organismo può essere descritta iniziando dal meccanismo di accoppiamento fisico tra il campo ed il sistema biologico, a seguito del quale determinate grandezze fisiche (campi, cariche, correnti) vengono indotte nei tessuti dell'organismo esposto. Queste grandezze sono direttamente responsabili degli effetti acuti. A bassa frequenza, tali effetti consistono in una "interferenza" delle correnti indotte con i meccanismi fisiologici della percezione sensoriale e della attivazione muscolare, per cui l'esposizione, se sufficientemente intensa, si manifesta con sensazioni tattili o visive spurie o disturbate o con contrazioni muscolari involontarie. A frequenze superiori ad un centinaio di chilohertz circa, gli effetti acuti sono riconducibili al riscaldamento locale dei tessuti provocato, per effetto Joule, ancora dalla corrente indotta. Nella tabella seguente sono riportate le soglie di densità di corrente per i principali effetti acuti: tra parentesi è indicata la banda di frequenza interessata; i termini "minimo" e "tipico" si riferiscono alla variazione da individuo ad individuo; per l'effetto termico, è riportato il valore di SAR (Specific Absorption Rate, potenza assorbita per unità di massa) universalmente considerato "sicuro".

10 mA/m2 20 Hz Valore minimo per la generazione di fosfeni (allucinazioni ottiche).
100 mA/m2 10÷400 Hz Valore minimo per la stimolazione dei recettori nervosi periferici (percezione di formicolii e sensazioni analoghe).
0.5 A/m2 10÷100 Hz Valore tipico per la stimolazione di contrazioni nella muscolatura scheletrica.
0.8 A/m2 10÷100 Hz Valore minimo per l'eccitazione di extrasistole ventricolari.
2 A/m2 10÷100 Hz Soglia minima di innesco della fibrillazione ventricolare con tempi di stimolazione di almeno 1 secondo.
0.4 W/kg >100 kHz Soglia "termica".

   Poiché le soglie degli effetti biologici acuti sono note in funzione dei valori della densità di corrente indotta e del SAR, queste ultime vengono considerate grandezze primarie dalle norme di sicurezza ed i loro rispettivi valori massimi ammissibili sono considerati limiti primari. Essendo però, di fatto, estremamente difficile misurare i valori delle grandezze primarie nelle condizioni reali di esposizione (è tutt'al più possibile calcolarli in condizioni standardizzate e semplificate), le norme di sicurezza specificano anche i cosiddetti limiti derivati, cioè i valori massimi ammissibili delle intensità dei campi in assenza dell'individuo esposto, grandezze più facilmente accessibili alla misura diretta. I modelli dosimetrici costituiscono gli strumenti fisico-matematici che permettono di risalire dalle grandezze derivate a quelle primarie, cioè di stabilire la distribuzione di densità di corrente indotta o di SAR in un individuo esposto, una volta che siano note le condizioni di esposizione e le caratteristiche del campo elettromagnetico nel teatro espositivo.

7 - Ruolo della frequenza

   La frequenza è il parametro principale che influenza la modalità di interazione del campo elettromagnetico con un sistema biologico e quindi ne condiziona gli effetti, al punto che un campo elettrico di fissata intensità può essere pressoché insignificante o assai pericoloso, a seconda della sua frequenza: per questo motivo le norme di sicurezza specificano sempre limiti massimi notevolmente variabili con la frequenza. Due sono gli aspetti significativi di questa questione.

  1. La frequenza condiziona innanzitutto la struttura stessa del CEM nell'intorno della sorgente, che si modifica notevolmente in funzione della distanza da essa, rapportata alla lunghezza d'onda del CEM, passando dalla zona dei campi reattivi a quella dei campi radiativi; questo fenomeno condiziona anche le modalità di misura.
  2. Lo stesso meccanismo di accoppiamento fisico tra CEM ed oggetti biologici dipende in modo critico dal rapporto tra la dimensione dell'organismo esposto e la lunghezza d'onda del campo.

   Nel seguito cercheremo di chiarire questi concetti, per quanto possibile in questa sede, iniziando dal richiamare le nozioni stesse di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico.

8 - Campo elettrico

   In regime statico (costante nel tempo), il campo elettrico può essere generato unicamente da una distribuzione di carica elettrica. Più esattamente, il campo elettrico è una regione di spazio estesa intorno ad un oggetto dotato di carica elettrica (detto sorgente del campo), nella quale si manifestano forze su altri oggetti dotati di carica elettrica. Il campo elettrico viene descritto mediante un vettore E (detto vettore campo elettrico, o semplicemente campo elettrico) che in ogni punto della regione di spazio indica la direzione, l'intensità ed il verso della forza che agisce su una carica puntiforme unitaria positiva che venga posta in quel punto; l'intensità del campo elettrico si misura in volt al metro (V/m).

   Le principali relazioni che legano tra loro campo elettrico e carica elettrica sono la nota legge di Coulomb, che determina il vettore campo elettrico ad una distanza r da una carica puntiforme Q:

(1)

(facilmente generalizzabile a distribuzioni continue di carica, volumetriche, superficiali o lineari) ed il teorema di Gauss:

(2)

dove la densità di carica r è distribuita nel volume V racchiuso dalla superficie S. In queste due relazioni, e rappresenta la costante dielettrica assoluta del mezzo che riempie lo spazio.

   Come diremo più avanti, un campo elettrico può essere generato anche da campo magnetico variabile nel tempo (si veda la sezione sul campo elettromagnetico, equazione 7).

   Grazie alla forza che esercita sulle cariche, il campo elettrico è in grado di provocare correnti elettriche nei materiali conduttori, cioè dotati di una conducibilità elettrica s non nulla; matematicamente questa proprietà è espressa dalla legge di Ohm:

(3)

dove J è la densità di corrente elettrica.

   La mutua relazione tra campo elettrico, carica elettrica e corrente elettrica è completata dalla legge di conservazione della carica:

(4)

anche qui, la densità di carica r è distribuita nel volume V racchiuso dalla superficie S.

9 - Campo magnetico

   In condizioni statiche, un campo magnetico è una regione di spazio estesa intorno ad un oggetto percorso da corrente elettrica (detto sorgente del campo), nella quale si manifestano forze su altri oggetti percorsi da corrente elettrica. Il campo magnetico può essere descritto mediante un vettore B (detto densità di flusso magnetico, o anche induzione magnetica) definito in maniera un po' complessa, ma in ogni caso riconducibile alla forza che in ogni punto della regione di spazio si manifesta su una corrente elementare che venga posta in quel punto; l'intensità dell'induzione magnetica si misura in tesla (T).

   La principale relazione che lega tra loro induzione magnetica e corrente elettrica è la legge di Biot-Savart in forma differenziale, nota anche come prima formula di Laplace, che esprime il campo magnetico generato alla distanza r da un conduttore elementare lineare di lunghezza dl percorso da corrente I:

(5)

dove m0 è la permeabilità magnetica assoluta dello spazio libero.

   Come vedremo a proposito del campo elettromagnetico (cfr. equazione 8), un campo magnetico può essere generato anche da campo elettrico variabile nel tempo.

   Una delle caratteristiche più importanti del campo magnetico variabile nel tempo, almeno dal punto di vista sia della misura sia dell'interazione con organismi biologici, consiste nella sua capacità di provocare correnti elettriche all'interno di oggetti conduttori dove in assenza di campo esse non erano presenti; questa proprietà è descritta matematicamente dalla legge dell'induzione di Faraday:

(6)

dove la linea chiusa G delimita la superficie S; la densità di corrente può essere calcolata a partire dal campo elettrico mediante la legge di Ohm (equazione 3).

10 - Campo elettromagnetico

   Nelle immediate vicinanze di una sorgente (antenna, apparato industriale a radiofrequenza, elettrodomestico) e fino a circa un decimo di lunghezza d'onda di distanza da essa, il campo elettrico ed il campo magnetico sono del tutto indipendenti uno dall'altro, essendo legati e determinati dalle rispettive "sorgenti fisiche" (cariche e correnti). In altre parole, in questa regione (detta zona del campi reattivi) i campi, pur se variabili nel tempo, si comportano in pratica come nel caso statico, essendo tracurabili le componenti di mutua generazione rispetto a quelle dovute alle sorgenti fisiche: si parla pertanto di regime quasistatico.

   A distanze superiori, la struttura dei campi inizia a risentire del fenomeno della radiazione, che resta l'unico significativo per distanze dalla sorgente superiori a circa una lunghezza d'onda. Esso consiste nella mutua generazione tra campo elettrico e campo magnetico variabili nel tempo, in base alle ben note equazioni di Maxwell:

(7)
(8)

   Grazie a questa mutua generazione, i campi si propagano a distanza indefinita dalla sorgente, assumendo una struttura detta di tipo radiativo: il campo elettrico ed il campo magnetico sono perpendicolari tra di loro ed alla direzione di propagazione e tra le loro intensità - che variano in modo sinusoidale tanto nel tempo quanto nello spazio ("onda elettromagnetica") - esiste una relazione matematica che permette di determinarne una quando sia nota l'altra.

   Un'onda elettromagnetica trasporta energia; la densità di potenza (energia trasportata per unità di tempo e di superficie, espressa in watt al metro quadrato, W/m2) risulta proporzionale al prodotto delle intensità del campo elettrico e del campo magnetico e costituisce un'altra grandezza accessibile di misura attraverso la quale caratterizzare l'intensità della radiazione.

11 - Meccanismi di accoppiamento

   Il meccanismo di accoppiamento costituisce la prima fase dell'interazione del campo elettromagnetico con un sistema biologico, a seguito della quale correnti e cariche vengono indotte nei tessuti dell'oggetto esposto.

   Il termine dosimetria indica l'insieme di tecniche che permettono di determinare la distribuzione della corrente indotta a partire dalla conoscenza dei campi impressi e delle modalità di esposizione. La dosimetria si avvale di tecniche sperimentali, analitiche e numeriche. L'approccio numerico è oggi uno dei più sfruttati e promettenti, sia per le limitazioni intrinseche degli altri due sia per la crescente disponibilità di elaboratori sempre più potenti e meno costosi.

   I parametri che influenzano i meccanismi fisici di accoppiamento tra campi elettromagnetici ed organismi biologici sono principalmente le caratteristiche dielettriche dei tessuti e la frequenza del campo.

   Da un punto di vista elettrico, i tessuti biologici si comportano, a seconda della frequenza e del tipo di tessuto, come dielettrici con più o meno perdite o come conduttori più o meno buoni; il loro comportamento è descritto da due grandezze fondamentali: la conducibilità elettrica s e la costante dielettrica assoluta e. Un materiale si comporta tanto più da buon conduttore quanto più alta è la sua tangente di perdita, definita da:

(9)

dove f è la frequenza.

   I tessuti biologici non possiedono invece proprietà magnetiche significative, quindi non interagiscono direttamente col campo magnetico (sono pressoché "trasparenti al campo magnetico").

12 - Meccanismi di accoppiamento a bassa frequenza

   Per frequenze fino ad almeno alcune centinaia di kHz, le più autorevoli normative internazionali di protezione dai campi elettromagnetici riconoscono nella densità di corrente indotta nei tessuti il principale parametro con cui correlare l'esposizione agli effetti biologici che si manifestano negli individui esposti; è quindi questo il parametro che occorre determinare a partire dalle caratteristiche del campo e dalle modalità di esposizione.

   È prassi comune, nella risoluzione dei problemi fisici, cercare condizioni che permettano di semplificare problemi altrimenti non risolvibili. Nel caso dell'interazione dei campi elettromagnetici di "bassa" frequenza con gli organismi biologici, una semplificazione comunemente impiegata è la cosiddetta approssimazione quasistatica, che consiste in pratica nello sfruttare le piccole dimensioni dell'oggetto esposto rispetto alla lunghezza d'onda. È possibile far vedere che in questo caso i problemi di accoppiamento al campo elettrico ed al campo magnetico sono disaccoppiati e quindi possono essere impostati e risolti indipendentemente.

   Il limite superiore di frequenza per l'applicabilità di questo approccio discende dalla necessità che siano soddisfatte le due seguenti condizioni: (1) i tessuti devono poter essere considerati buoni conduttori e (2) le dimensioni e le distanze coinvolte devono essere piccole rispetto alla lunghezza d'onda interna o - equivalentemente - rispetto alla profondità di penetrazione del campo elettromagnetico nei tessuti. Sebbene a rigore le due condizioni suddette (specie la seconda) siano applicabili fino a non più di 50-100 kHz, spesso si trovano assunte valide fino a qualche megahertz ed oltre.

   Nei casi in cui è possibile applicare l'approssimazione quasistatica, il problema dell'accoppiamento viene affrontato in due passi.

   Nel primo passo si risolve il problema esterno all'individuo esposto, omettendo dalle equazioni le derivate temporali (che in regime armonico sono proporzionali alla frequenza), cioè ponendosi in condizioni perfettamente statiche. Questo conduce ad una valutazione sufficientemente accurata del campo elettrico e del campo magnetico all'esterno dell'individuo e della densità di carica sulla sua superficie.

   Nel secondo passo si reintroducono nelle equazioni le derivate temporali e si prende in considerazione l'effettiva struttura interna dell'organismo, in modo da poter determinare la distribuzione del campo elettrico interno e quindi (equazione 3) della densità di corrente indotta, a partire dai risultati del passo precedente.

13 - Accoppiamento al campo elettrico di bassa frequenza

   Alle basse frequenze, fino al centinaio di chilohertz circa, i tessuti si comportano sicuramente come buoni conduttori nei confronti dell'aria circostante l'organismo esposto. Per questo motivo, il campo elettrico non penetra significativamente nei tessuti: tra il campo interno ad essi e quello esterno (in aria) sussiste la seguente relazione, deducibile applicando all'interfaccia aria/tessuto il teorema di Gauss (equazione 2) e la legge di conservazione della carica elettrica (equazione 4):

(10)

dove e0 è la costante dielettrica assoluta dello spazio libero.

   Grazie a questa caratteristica, nella risoluzione del problema esterno è possibile considerare l'organismo esposto come un oggetto omogeneo perfettamente conduttore.

   Il campo elettrico esterno è perturbato dalla presenza dell'organismo, in modo tale che le linee di forza ne sono perpendicolari alla superficie; di conseguenza, sulla superficie stessa viene indotta una distribuzione superficiale di carica elettrica.

   La variazione temporale della carica superficiale "inietta" delle correnti elettriche all'interno dell'organismo, che lo attraversano completamente (scegliendo preferenzialmente i percorsi a minor resistenza, cioè i tessuti a più alta conducibilità) fino a scaricarsi a terra attraverso le piante dei piedi. Le correnti indotte costituiscono la principale conseguenza dell'esposizione; la loro intensità è proporzionale alla frequenza ed all'ampiezza del campo elettrico:

(11)

come valore tipico, la costante di proporzionalità AE, in unità del sistema internazionale, vale circa 3x10-9 in distretti importanti come la testa o la regione cardiaca.

14 - Accoppiamento al campo magnetico di bassa frequenza

   Come si è detto, i tessuti biologici sono pressoché trasparenti al campo magnetico; questo induce però delle correnti in essi, che possono a loro volta generare un campo magnetico secondario in grado di perturbare il campo impresso. È possibile dimostrare che la perturbazione (che dipende dalla frequenza, dalla conducibilità dei tessuti e dalle dimensioni dell'organismo esposto) nel caso dell'uomo è trascurabile per frequenze fino all'ordine del centinaio di chilohertz.

   La distribuzione di campo magnetico è pertanto uguale a quella che si avrebbe in assenza dell'individuo esposto e la densità di corrente indotta dalla sua variazione temporale può essere determinata mediante l'applicazione della legge di induzione di Faraday (equazione 6); in questo modo è facile, per esempio, dedurre la seguente soluzione approssimata, valida per una geometria sferica o cilindrica con dimensione caratteristica L:

(12)

15 - Accoppiamento al campo elettromagnetico di altissima frequenza

   Alle altissime frequenze, dove le dimensioni di un organismo esposto sono molto maggiori della lunghezza d'onda, il modello più semplice per lo studio dei meccanismi di accoppiamento fa riferimento ad un'onda elettromagnetica che incide sulla superficie di separazione tra due semispazi riempiti con materiali diversi, uno (quello da cui proviene l'onda) con le caratteristiche dielettriche dell'aria, l'altro con quelle di un tipico tessuto biologico, in genere il muscolo.

   Si trova così che una parte della radiazione in arrivo viene riflessa ed una parte penetra nel materiale biologico, depositandovi potenza e quindi attenuandosi esponenzialmente, con una lunghezza di decadimento tipica (detta profondità di penetrazione) data in prima approssimazione da:

(13)

dove m0, come già detto, è la permeabilità magnetica assoluta dello spazio libero.

16 - Cenno alle problematiche di misura

   Il principale problema da affrontare nell'affrontare una campagna di misure di campi elettromagnetici a scopo protezionistico consiste nello scegliere la strumentazione e la procedura adeguate alla situazione. Infatti, la struttura del campo elettromagnetico nell'intorno di una sorgente dipende in modo determinante dalle caratteristiche della sorgente stessa, dalla distanza del punto di osservazione e dalla frequenza.

   L'esposizione di individui umani ai campi elettromagnetici di livello significativo dal punto di vista sanitario hanno spesso luogo in prossimità della sorgente, dove i campi sono più intensi. Per questo motivo, specie alle frequenze più basse, l'esposizione interessa in genere la regione dei campi reattivi (detta anche zona di induzione); in essa il contributo più rilevante alle intensità dei campi è originato direttamente dalle cariche e dalle correnti presenti sulla sorgente. I campi radiativi (originati dalla mutua generazione tra campo elettrico e campo magnetico) sono completamente trascurabili, almeno per distanze fino a circa un decimo di lunghezza d'onda dalla sorgente, mentre divengono predominanti a partire da circa una lunghezza d'onda da essa, nella zona di radiazione.

   Nella regione dei campi reattivi, il campo elettrico ed il campo magnetico sono del tutto indipendenti uno dall'altro (poiché dipendono, rispettivamente, dalle cariche e dalle correnti nella sorgente) e devono pertanto essere misurati entrambi in modo indipendente, a meno che considerazioni a priori sulla natura della sorgente permettano di escludere la presenza dell'uno o dell'altro. Per la misura, devono pertanto essere impiegati sensori dotati di una buona risoluzione spaziale e di un'ampia dinamica (date le rapide variazioni spaziali delle intensità dei campi) ed in grado di rispondere al solo campo elettrico o al solo campo magnetico.

   Se le dimensioni della sorgente sono grandi rispetto alla lunghezza d'onda conviene, anche dal punto di vista della misura, distinguere due zone nella regione dei campi radiativi. Nella zona più vicina alla sorgente (zona di Fresnel o dei campi radiativi vicini), i fenomeni di interferenza che hanno luogo rendono consigliabile l'uso di sensori del tipo usato per i campi reattivi (per la loro elevata risoluzione spaziale ed ampia dinamica), con la semplificazione che spesso è sufficiente misurare o il solo campo elettrico o il solo campo magnetico, essendo i due legati con buona approssimazione dalla relazione di onda piana.

   Nella zona dei campi radiativi lontani (zona di Fraunhofer), è possibile invece ricorrere alle antenne standard per la misura della densità di potenza della radiazione.

   Il limite tra le zone di campo radiativo vicino e lontano si colloca indicativamente attorno a D2/l, dove D è la dimensione lineare tipica della sorgente e l la lunghezza d'onda.

 

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