A cura della Linea di Ricerca su Metodi fisici per la valutazione dell'esposizione umana ai campi elettromagnetici. Daniele Andreuccetti, 1999.

CAMPI MAGNETICI A BASSISSIMA FREQUENZA
Studi relativi alla valutazione della pericolosità

Daniele Andreuccetti

Consiglio Nazionale delle Ricerche
Istituto di Ricerca sulle Onde Elettromagnetiche "Nello Carrara"
Via Panciatichi, 64 - 50127 FIRENZE

Articolo pubblicato sul periodico Notizie dell'Area della Ricerca CNR di Firenze, dicembre 1996.

Successivamente pubblicato anche su "GAZZETTA ambiente" (rivista bimestrale sull'ambiente e territorio edita dall'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, con il patrocinio del Ministero dell'Ambiente e dei Lavori Pubblici), anno 1999, numero 4 (luglio-agosto) monografico su "Dossier elettrosmog".


La paura delle "onde elettromagnetiche" agita da diversi anni l'opinione pubblica. Ci si preoccupa dei possibili danni causati dalle esposizioni a questo agente fisico invisibile, impalpabile, che penetra dappertutto e si diffonde sempre di più, trovando continuamente nuove applicazioni in ambito militare, industriale e dei servizi di pubblica utilità.

Ad acuire la preoccupazione hanno talvolta contribuito i mezzi di informazione, scegliendo di cavalcare la tigre del diffuso allarmismo e finendo col gettare ombre di discredito sulle istituzioni scientifiche, accusate di connivenza con le lobby economiche controllate dalle aziende interessate.



All'IROE è attiva dal 1977 una linea di ricerca sulla pericolosità dei campi elettromagnetici (CEM) non ionizzanti; chi scrive ne fa parte dal 1985 e ne è responsabile dal 1994. Nel corso degli anni abbiamo seguito il sorgere delle problematiche protezionistiche in Italia ed il suo appuntarsi di volta in volta su obbiettivi diversi (installazioni radar, impieghi industriali, impianti di diffusione radiofonica e televisiva, linee elettriche, telefonia cellulare). Abbiamo contribuito a sviluppare le conoscenze che ci hanno consentito dapprima di formulare direttamente risposte complete per l'opinione pubblica e successivamente di fornire "gli strumenti di lavoro" alle istituzioni pubbliche nel frattempo attivate per questo scopo sul territorio. Si tratta di una ricerca i cui principali settori di attività consistono (1) nello sviluppo di metodiche di misura, di strumenti originali e di tecniche di calcolo per l'analisi delle sorgenti e la previsione dei livelli di campo da esse generati e (2) nell'indagine sui meccanismi fisici di accoppiamento dei CEM con gli oggetti biologici. Oltre alla produzione di articoli scientifici, libri, rapporti tecnici e brevetti, prodotto tipico di questa attività sono i corsi di formazione professionale nei quali avviene il trasferimento delle conoscenze ai soggetti interessati; in proposito, nel 1993 abbiamo istituito, in collaborazione con l'Area della Ricerca CNR di Firenze, una Scuola permanente di Protezione dai campi elettromagnetici non ionizzanti che, a intervalli variabili, organizza corsi sui vari aspetti della tematica.

Un'altra ricaduta tipica delle competenze provenienti da questa attività di ricerca consiste nei contributi alla definizione di norme di sicurezza; per esempio, il nostro gruppo ha formulato le raccomandazioni adottate nel 1989 dalla Giunta Regionale Toscana, individuando in modo originale i limiti per le basse frequenze; inoltre, almeno uno dei suoi membri ha fatto parte di quasi tutte le Commissioni nazionali istituite in materia.



Una delle problematiche che più ci ha coinvolto a partire dalla fine degli anni '80, è certamente quella riguardante le esposizioni ai campi elettrici e magnetici a frequenza industriale, ovvero i campi dispersi nell'ambiente dalle linee di trasporto e di distribuzione dell'energia elettrica (elettrodotti) e dagli impianti industriali e domestici per il suo trattamento (centrali, cabine di trasformazione) ed utilizzo, la cui frequenza di funzionamento (50 Hz in Europa) rientra nella cosiddetta banda ELF (Extremely Low Frequency, da 30 a 300 Hz). Si tratta di una problematica che, come è noto, ha un notevole impatto nell'opinione pubblica: ha dato luogo al costituirsi di numerosi comitati contro la costruzione di elettrodotti; sono state organizzate manifestazioni, scritte petizioni, chiesti innumerevoli interventi alle istituzioni competenti; sulla questione si tengono di continuo convegni e tavole rotonde a vari livelli; sull'onda di questo movimento alcune Regioni hanno persino emanato normative in notevole contrasto con le raccomandazioni delle istituzioni internazionali e le più recenti disposizioni legislative nazionali. Come conseguenza, vi sono state notevoli pressioni (e, ma in misura meno notevole, erogazioni di fondi) sulla comunità scientifica perché affrontasse l'argomento.

Vorremmo in questa sede cercare di dare, in chiave divulgativa, un quadro il più possibile completo ed obbiettivo sull'argomento.





L'origine del problema ELF.



L'evento che ha dato origine a quello che chiameremo "il problema ELF" è stato probabilmente la pubblicazione, nel 1979, sull'American Journal of Epidemiology, dell'articolo Electrical wiring configurations and childhood cancer di Nancy Wertheimer e Ed Leeper; in esso per la prima volta si avanzava l'ipotesi della possibile esistenza di una associazione tra la residenza nei pressi di grandi elettrodotti e l'insorgere di gravi patologie infantili, come la leucemia; la questione è rimasta per un po' di tempo quiescente, poi sono cominciati a circolare i risultati di numerosissime indagini di verifica, molte delle quali positive (cioè confermanti l'associazione) altre, ma un po' meno numerose, negative. Subito dopo si sono impossessati della questione i mezzi di informazione, portandola a conoscenza dell'opinione pubblica, con le conseguenze che ci si potevano immaginare. E` del giugno 1989, per esempio, la pubblicazione di un articolo di Paul Brodeur sul The New Yorker nel quale, con toni da romanzo, si dipinge una situazione in cui compagnie elettriche e scienziati senza scrupoli sarebbero alleati per arricchirsi o conseguire vantaggi personali senza curarsi delle devastanti conseguenze per la sanità pubblica. Anche in Italia non sono mancati articoli parimenti allarmistici (Un filo di paura, Panorama 1198 del 2/4/89; Un incubo ad alta tensione, La Nazione del 5/5/90; Campi elettrici accusati di omicidio, La Stampa del 19/12/90 per citarne solo alcuni).

Più o meno nello stesso periodo (gennaio 1990) la prestigiosa INIRC-IRPA (l'International Non-Ionizing Radiation Committee dell'International Radiation Protection Association) pubblicava su Health Physics le sue Interim guidelines on limits of exposure to 50/60 Hz electric and magnetic fields che indicavano i livelli massimi ammissibili di esposizione, diversificandoli per i "professionalmente esposti" e per la popolazione in genere. In Italia esse sono state recepite, per la sola componente relativa alla popolazione, dal noto DPCM 23/04/92. Lungi dal rassicurare la popolazione, queste raccomandazioni non hanno fatto altro che acuire la polemica: cercheremo nel seguito di capirne il perché.





Un po' di terminologia.



Nel trattare la questione della pericolosità dei CEM si utilizzano spesso termini come "interazione", "effetto", "danno", "rischio", che possono portare talvolta ad equivoci. E` pertanto opportuno spendere qualche parola per intenderci sulla terminologia.

Un campo elettrico è una regione di spazio dove si manifestano forze sulle cariche elettriche, dando possibilmente origine, se le cariche sono libere di muoversi, a correnti elettriche; analogamente, un campo magnetico è una regione di spazio dove si manifestano forze sui dipoli magnetici e sulle correnti elettriche; anche il campo magnetico è in grado di generare correnti nei materiali conduttori, poiché determina in essi un campo elettrico indotto. Numerosi parametri permettono di descrivere le caratteristiche fisiche dei campi; qui ci interessano in particolare l'ampiezza (che è una misura della intensità delle forze prodotte dai campi) e la frequenza (che indica quanto rapidamente l'ampiezza varia nel tempo); quest'ultima si misura in "hertz" (simbolo Hz), l'intensità del campo elettrico si misura in "volt/metro" (V/m), l'intensità del campo magnetico in "tesla" (T); essendo questa un'unità di misura molto grande, si utilizzano spesso i sottomultipli "millitesla" (mT) e "microtesla" (µT) e "nanotesla" (nT).

Quando un organismo biologico (per esempio un individuo) si trova in un campo elettrico o in un campo magnetico, ha inevitabilmente luogo una interazione tra le forze dei campi e le cariche e le correnti elettriche presenti nei tessuti dell'organismo che, in particolare alla basse frequenze, sono in linea di massima dei buoni conduttori. Come conseguenza dell'interazione, all'interno dell'organismo vengono indotte grandezze fisiche (campo elettrico, campo magnetico, densità di corrente) legate alla intensità ed alla frequenza dei campi, alle caratteristiche dell'organismo ed alle modalità di esposizione. Il risultato della interazione è sempre un effetto, inteso come deviazione delle condizioni dei tessuti dalla precedente condizione di equilibrio. Quando i normali meccanismi di compensazione di cui ogni organismo dispone sono in grado di annullare la perturbazione, ripristinando la condizione di equilibrio, si parla di effetto indifferente; se questo non avviene, l'effetto diviene manifesto e può in linea di massima essere benefico se (almeno in qualche particolare condizione) procura un vantaggio all'organismo, oppure avverso se gli procura un danno; se questo permane anche dopo aver interrotto l'esposizione, parleremo di danno permanente.



Le norme di sicurezza hanno lo scopo di proteggere gli individui dalle conseguenze della esposizione agli agenti potenzialmente nocivi, sia che l'esposizione sia legata alla attività lavorativa (professionalmente esposti) sia che ne sia estranea (popolazione civile). In particolare, la protezione deve riguardare tutti gli effetti non indifferenti, perché anche quelli che in alcuni casi possono risultare benefici, lo sono solo se l'organismo ha bisogno del beneficio in questione, altrimenti si tratta comunque di una perturbazione indesiderata: per esempio, la ventilata capacità del campo magnetico di accelerare in alcuni casi la ricostruzione del tessuto osseo è utile solo se e dove vi sono fratture da riparare.

Su un piano più generale, le norme di sicurezza puntano anche a proteggerci dal rischio di subire un danno: può infatti accadere che un effetto di solito indifferente possa sfuggire, specie nel caso di esposizioni ripetute e prolungate (cioè croniche), al controllo dei meccanismi fisiologici di compensazione, dando luogo ad un danno: il danno non è certo, ma se ne può stabilire la probabilità in base, per esempio, alla intensità ed alla durata della esposizione.

Anche sul termine "rischio" è opportuno essere precisi. L'esposizione ad alcuni agenti, per esempio il fuoco, non comporta un rischio, ma un danno certo, anche se di rilevanza variabile. In altre situazioni il danno non è certo: per esempio, se attraverso una strada ad occhi chiusi, corro sicuramente il rischio di essere investito, ma se sono fortunato posso anche attraversare indenne; conoscendo la situazione del traffico, la velocità di attraversamento etc. il rischio può anche essere espresso quantitativamente in termini statistici; parleremo in questo caso di rischio certo. Per fare un esempio in campo sanitario, l'esposizione al fumo attivo viene considerato un rischio certo in rapporto al tumore al polmone: anche qui il danno non è certo (nel senso che moltissimi fumatori, per fortuna, non contraggono il tumore al polmone), però si sa con certezza che i fumatori hanno diverse decine di volte maggior probabilità dei non fumatori di contrarre quella patologia.

Ritornando ai campi elettrici e magnetici ELF, NON si può obbiettivamente sostenere che essi costituiscano un fattore di rischio certo in relazione ai tumori; volendo sintetizzare con una frase i risultati degli studi epidemiologici sull'argomento, si può affermare che esiste il sospetto che la residenza nei pressi di (grandi) elettrodotti comporti per i bambini sotto i dodici-quattordici anni un aumento di circa un fattore 2 della probabilità di contrarre leucemia; vari elementi (risultati controversi tra diverse indagini, possibili fattori confondenti, scarsa potenza e significatività statistica) impediscono di esprimere maggiori certezze; dobbiamo pertanto parlare, in questo caso, di rischio ipotetico.





Come nasce una norma di sicurezza.



L'approccio ideale al processo di individuazione di limiti di sicurezza consisterebbe nella applicazione più generale possibile del cosiddetto principio ALARA (acronimo per "As Low As Reasonably Achievable"), in base al quale si dovrebbero fissare i limiti al più basso livello ragionevolmente ottenibile. In termini operativi, questo significa che, se dell'agente da cui ci vogliamo difendere se ne può fare a meno, allora il limite di sicurezza deve essere posto a zero: è quanto sta succedendo, per esempio, con l'amianto: da quando se ne è accertata la cancerogenicità, è stato praticamente bandito da qualunque applicazione. Se, come avviene in moltissimi casi, l'agente incriminato (materiale, tecnologia, processo industriale, grandezza fisica) ha una insostituibile utilità sociale, allora si dovrebbe innanzitutto costruire una curva che riporta il "costo sociale" in funzione del limite di sicurezza: ad alti valori di questo, la curva risulterà crescente col limite stesso, a causa del costo sociale connesso con le conseguenze delle esposizioni; ai bassi valori essa crescerà al diminuire del limite, a causa del costo sociale connesso con la difficoltà o l'impossibilità ad utilizzare l'agente incriminato, che abbiamo supposto avere una utilità insostituibile; se la curva presenta un punto di minimo, quello è il valore ideale del limite di sicurezza.

Come si capisce facilmente, un approccio del genere, quantunque soddisfacente dal punto di vista concettuale, è inapplicabile in pratica nella quasi totalità delle situazioni reali ed è pertanto necessario ricorrere a procedimenti diversi. L'approccio utilizzato per i CEM è il seguente.

1.Si considerano gli effetti noti derivanti dalle esposizioni.

2.Si cerca di individuare le intensità dei campi al di sotto delle quali non sono riportati effetti (né benefici né avversi).

3.Si impone un opportuno margine di sicurezza per tener conto delle incertezze in gioco e si individua in questo modo il limite per i professionalmente esposti.

4.Si impone un ulteriore margine di sicurezza e si individua il limite per la popolazione; l'ulteriore margine serve a tutelare le categorie più deboli (bambini, anziani, malati) presenti nella popolazione ed a tener conto della maggior durata potenziale di esposizione (fino a 24 ore al giorno) rispetto ai lavoratori.

Il principio ALARA non viene abbandonato, ma applicato nel particolare: le esposizioni non strettamente necessarie devono essere evitate e in ogni caso si devono ridurre i livelli di esposizione ai più bassi valori (anche inferiori ai limiti di sicurezza, che costituiscono pertanto solo un "tetto massimo") di volta in volta compatibili con le varie applicazioni.

Ma quali sono gli effetti che possono essere presi in considerazione dal processo sopra descritto? Evidentemente quelli a cui è possibile assegnare un valore di soglia; innanzitutto gli effetti acuti, per i quali il rapporto causa/effetto è fuori di dubbio, essendo caratterizzati da condizioni di immediatezza (l'effetto si manifesta appena si applica il campo e scompare, salvo danni permanenti, quando lo si rimuove) ed oggettività (l'effetto si manifesta con tutti i soggetti esposti, salvo al più variazioni individuali nel valore di soglia). E gli effetti cronici, quelli cui corrisponde non un danno certo ma un rischio, e che sono indagati per mezzo degli studi epidemiologici? In quali casi possono essere utilizzati per definire livelli di sicurezza? Occorre evidentemente che siano verificate quelle condizioni che permettono di accertare il rapporto causa/effetto ed individuare un valore di soglia: deve esistere una relazione dose/risposta, devono aversi dei riscontri di laboratorio e deve essere identificato un meccanismo biologico plausibile che spieghi i risultati epidemiologici.

Come si sarà intuito, queste condizioni corrispondono in parte ai cosiddetti criteri di Hill sulla base dei quali si giudica della validità di uno studio epidemiologico e che prendono appunto in considerazione la significatività statistica, la consistenza tra studi diversi, l'esistenza di una relazione dose/risposta, l'evidenza di laboratorio (esperimenti in vitro ed in vivo) e la plausibilità biologica.



Vediamo come le considerazioni esposte si applicano al caso dei campi elettrici e magnetici ELF. Da almeno una decina d'anni, per opera soprattutto di un ricercatore tedesco (Jürgen H. Bernhardt, a quel tempo al Federal Health Office della Germania Occidentale), ci si è resi conto con chiarezza che la totalità degli effetti acuti dei campi elettrici e magnetici ELF è attribuibile alla densità di corrente indotta dal campo elettrico e dal campo magnetico esterno nei tessuti degli organismi esposti; grazie ad un grosso lavoro sperimentale su volontari, è stato possibile identificare le soglie di densità di corrente a cui si verificano gli effetti acuti accertati. Alcune di esse sono mostrate in Figura 1 in funzione della frequenza da 10 Hz a 100 kHz: gli effetti che si verificano a livelli più bassi consistono in interferenze nella percezione sensoriale a livello oculare (percezione di lampi luminosi e colorati, detti fosfeni, linea B della Figura 1) o tattile (sensazione di pizzicore, linea C della Figura 1); a livelli via via più elevati le correnti indotte possono causare contrazioni muscolari, extrasistole cardiache (linea D della Figura 1), fibrillazione ventricolare, sensazione di calore (linea E di Figura 1). Dall'analisi dei risultati sperimentali risulta che nessun effetto acuto si manifesta con valore di soglia inferiore a 10 mA/m2, per cui questo valore è assunto come base per la determinazione dei limiti di sicurezza. Adottando un opportuno margine di sicurezza per tenere conto dei fattori di incertezza (nelle soglie degli effetti, nei modelli dosimetrici di cui parleremo, nelle misure dei campi), si individua in 1 mA/m2 il valore ritenuto "sicuro" per le esposizioni professionali; questo è consistente con l'osservazione che 1 mA/m2 è anche l'ordine di grandezza del rumore elettrico presente nei tessuti ad intensa attività elettrofisiologica (linea A della Figura 1).

Avendo individuato il limite di sicurezza in termini di densità di corrente, occorre risalire alle intensità del campo elettrico e del campo magnetico in grado di indurre quel valore di corrente nei tessuti. Si indica correntemente col nome, forse un po' improprio, di dosimetria la disciplina che si occupa di stabilire queste relazioni. Mentre le relazioni dosimetriche per il campo elettrico ELF sono state studiate approfonditamente a cavallo tra la fine degli anni '70 ed i primi anni '80, quelle per il campo magnetico sono state oggetto di indagini circa dieci anni più tardi.

Dal 1991 al 1994 anche il nostro gruppo si è occupato dell'argomento, come unità operativa nell'ambito del Progetto Tematico CNR su "Campi elettromagnetici non ionizzanti in biomedicina" coordinato dal Prof. Bersani dell'Università di Bologna; sviluppammo uno strumento per la misura della corrente indotta dal campo magnetico ELF in fantocci salini simulanti gli organismi esposti ed un metodo di calcolo numerico per la sua previsione teorica.

Alle frequenze che qui ci interessano, risulta che le densità delle correnti indotte dal campo elettrico e dal campo magnetico sono proporzionali alle intensità dei rispettivi campi ed alla frequenza. Le costanti di proporzionalità (dette coefficienti dosimetrici) dipendono dalle condizioni di esposizione, dalla localizzazione dell'organo interessato e dalle sue caratteristiche elettriche. La loro determinazione consente di esprimere i limiti di sicurezza per i professionalmente esposti in termini di intensità dei campi, che sono di impiego più immediato che non la densità di corrente.

L'applicazione di un ulteriore margine di sicurezza (che, come si è detto, traduce matematicamente le condizioni di maggior cautela per le categorie più deboli) conduce alla individuazione dei limiti per le esposizioni della popolazione.



INIRC-IRPA CENELEC ENV 50166-1
Campo E - lavoratori 10 kV/m 30 kV/m
Campo E - popolazione 5 kV/m 10 kV/m
Campo B - lavoratori 0.5 mT 1.6 mT
Campo B - popolazione 0.1 mT 0.64 mT


Tabella 1



È opportuno osservare che le stesse considerazioni di partenza, la stessa base di dati sperimentali e gli stessi processi logici (in una parola lo stesso razionale) possono condurre a formulare limiti anche notevolmente diversi, a seconda di come si scelgono i margini di sicurezza ed i coefficienti dosimetrici. A conferma di ciò si confrontino i limiti per i campi a 50 Hz fissati dalle succitate raccomandazioni INIRC-IRPA e quelli indicati nella proposta di normativa europea CENELEC ENV 50166-1 Human exposure to electromagnetic fields -low frequency (0 Hz to 10 kHz); il confronto è riportato in Tabella 1.

Per fare un altro esempio, quando alla fine del 1989 elaborammo quelle che nell'aprile 1990 sono diventate le raccomandazioni della Giunta Regionale Toscana, facemmo uso di margini di sicurezza leggermente più cautelativi di quelli che poi avrebbe utilizzato l'IRPA, giungendo ad elaborare per il campo magnetico un limite di 0.5 mT per i lavoratori e di 0.05 mT (50 µT) per la popolazione.





Limiti degli studi epidemiologici.



E per quanto riguarda il rischio da esposizione cronica e i risultati degli studi epidemiologici? Come intervengono nella normativa?

Si è detto più sopra che essi possono essere utilizzati per definire livelli di sicurezza solo se sono verificate alcune condizioni: significatività statistica, consistenza, esistenza di una relazione dose/risposta, evidenza di laboratorio, plausibilità biologica. Purtroppo queste condizioni non sono verificate dagli studi che si sono occupati della possibile cancerogenicità del campo magnetico ELF.

In realtà, come si è detto, questi studi indicano al più una possibile associazione con la residenza nei pressi di elettrodotti; molti di essi sono carenti sul piano della significatività statistica (a causa della bassissima incidenza delle patologie considerate); sono assai frequenti discordanze nei risultati tra indagini simili; non mancano lavori con risultati completamente negativi, anche se sono probabilmente in minoranza. Ogni tentativo di correlare più strettamente le patologie col campo magnetico ELF è fallito: in effetti è più che altro una deduzione attribuire al campo magnetico la responsabilità, giustificata dal fatto che il campo elettrico è assai efficacemente schermato dalle pareti degli edifici e quindi non ha, presumibilmente, grande rilevanza nelle esposizioni croniche: ma potrebbero esserci altri confondenti. Non esiste, salvo che in pochi casi, un relazione dose/risposta; le evidenze di laboratorio sono del tutto insufficienti e, nonostante vari tentativi, non è stato finora possibile suggerire un meccanismo biologico plausibile.

Diversi anni or sono (negli Environmental health criteria 35: extremely low frequency (ELF) fields del 1984) l'Organizzazione Mondiale della Sanità affermava testualmente che "sebbene i dati epidemiologici non possano essere ignorati, sono necessari notevoli studi prima che essi possano servire come utile base per l'accertamento del rischio"; a distanza di dodici anni è necessario constatare che la situazione non è cambiata granché, salvo che forse adesso si nutre meno fiducia sui possibili successi di indagini future.

Nonostante le correlazioni più accreditate riguardino il rapporto tra residenza e aumento del rischio di contrarre leucemia, tuttavia alcuni ricercatori, convinti della responsabilità del campo magnetico, hanno cercato di individuare (con metodi per lo più deduttivi, in base ai valori tipici di campo magnetico nei pressi delle linee elettriche) una soglia di discriminazione tra livelli sicuri e pericolosi anche per le esposizioni croniche; si è raggiunto un certo consenso sul fatto che se l'agente responsabile della presunta cancerogenicità delle linee elettriche è il campo magnetico, allora la soglia di discriminazione tra valori sicuri e pericolosi si deve collocare attorno a 0.2 - 0.25 µT, un valore che indicheremo nel seguito con la denominazione di "soglia (di attenzione) epidemiologica".



Ci troviamo dunque di fronte a questa situazione: le norme di sicurezza, basate su tutto quanto è quantitativamente accertato, indicano come sicure esposizioni a livelli fino ad almeno un centinaio di microtesla, mentre le indagini epidemiologiche fanno ritenere potenzialmente pericolose esposizioni croniche a valori di pochi decimi di microtesla. Ce n'è a sufficienza per impensierire chiunque. Prima di suggerire qualche linea guida per affrontare la questione, può essere interessante dare un occhiata ai livelli di campo magnetico che si possono effettivamente trovare negli ambienti che frequentiamo abitualmente.





Campi magnetici nell'ambiente.



Abbiamo iniziato nel 1987 ad affrontare il problema della determinazione dei livelli di campo elettrico e magnetico a 50 Hz nell'ambiente. Sviluppammo allora due strumenti adatti alla misura dei campi generati dagli elettrodotti. Si trattava di sensori unidirezionali (cioè in grado di misurare una sola delle tre componenti del vettore per volta) in grado di apprezzare valori di campo elettrico compresi tra 20 V/m e 20 kV/m e valori di campo magnetico compresi tra 0.1 e 100 µT. Con questi strumenti eseguimmo campagne di misura su elettrodotti ENEL in Toscana mediante le quali non solo acquisimmo dati sui valori tipici effettivamente riscontrabili, ma fu possibile accertare la possibilità di utilizzare modelli numerici per la previsione teorica dei livelli stessi, con accuratezza più che sufficiente per l'impiego protezionistico, almeno nei casi con geometria sufficientemente semplice. Nello stesso periodo avevamo infatti sviluppato un programma di calcolo dei campi generati dagli elettrodotti che, dopo le opportune verifiche ed alcuni perfezionamenti nell'interfaccia utente, è stato messo liberamente a disposizione delle istituzioni interessate ed ha avuto una grande diffusione. Tra i vantaggi della valutazione numerica, oltre alla praticità ed alla economicità, c'è il fatto di fornire valori tendenzialmente un po' più elevati (e quindi più cautelativi) di quelli riscontrabili con la misura, per una serie di motivi che non è il caso di approfondire in questa sede.


Per mostrare qualche risultato, i livelli di campo riscontrabili in prossimità delle tipologie di elettrodotti ad altissima tensione più comuni in Italia sono mostrati nelle Figure 2 (campo elettrico) e 3 (campo magnetico); si tratta degli elettrodotti 380 kV semplice terna (linea A nelle figure), 380 kV doppia terna con fasi congruenti (linea B nelle figure) e 380 kV doppia terna con fasi invertite (linea C nelle figure); il primo tipo consiste di una sola terna trifase, negli altri due sono presenti due terne trifase (quindi con doppia potenza trasportata, a parità di tensione e corrente) che differiscono tra loro per la distribuzione relativa delle fasi. Nell'eseguire i calcoli si è ipotizzata una corrente sulla linea di 1500 A ed una altezza minima dei conduttori dal suolo pari a 11.3 metri, che è il limite specificato da un pertinente decreto ministeriale (DMLP 16/1/91) per le tratte che interessano aree dove è possibile la permanenza prolungata della popolazione; i campi sono valutati ad una altezza di 1 m dal suolo. Dall'esame delle Figure 2 e 3 possiamo trarre le seguenti considerazioni.

1.La geometria della linea ha un notevole effetto sulla intensità del campo elettrico, un effetto molto meno marcato sul campo magnetico.

2.Il campo magnetico è abbondantemente al di sotto degli standard di sicurezza, ma notevolmente al di sopra della soglia di attenzione epidemiologica e resta tale anche a considerevole distanza dalla linea. Si potrebbe far vedere che per scendere sotto gli 0.25 µT occorre allontanarsi ad oltre 75 metri dall'asse della linea stessa.



Si sente spesso dire che una soluzione per abbattere le intensità dei campi consisterebbe nell'interrare le linee. Al di là di qualunque considerazione di opportunità economica o praticabilità tecnica, osserviamo che questa affermazione è sicuramente vera per il campo elettrico, grazie all'effetto combinato dell'azione schermante del terreno e della maggior prossimità reciproca tra i conduttori della linea. Essa è però vera solo in parte per il campo magnetico, che non viene efficacemente schermato, poiché la riduzione operata dalla maggior prossimità tra i conduttori è in parte annullata dalla possibilità, per gli individui, di avvicinarsi maggiormente ai conduttori stessi, che sono di solito interrati a soli 1.5 m di profondità. Ad esempio, nel caso della terna piana da 380 kV/860 A, ad 1 m dal suolo nel punto più vicino ai conduttori i modelli fanno prevedere oltre 25 µT; l'intensità decade però assai rapidamente con la distanza, riducendosi per esempio a 0.15 µT a 20 m di distanza.



Quanto detto sopra dà un'idea delle esposizioni in ambiente esterno; diamo adesso un'occhiata ai livelli tipici di campo magnetico presenti nelle abitazioni, che costituiscono senza dubbio il più comune tra gli ambienti confinati.

Sebbene non vi sia nessuna differenza qualitativa tra il campo magnetico a 50 Hz generato da sorgenti diverse (siano esse elettrodotti, conduttori di cablaggio o elettrodomestici), da un punto di vista descrittivo è conveniente riconoscere due contributi principali alle esposizioni domestiche, distinguendo le sorgenti ben individuabili (gli elettrodomestici) dall'apporto del "fondo ambientale", nel quale confluiscono tanto le sorgenti poste all'esterno dell'appartamento (linee elettriche aeree ed interrate, elettrodomestici in appartamenti contigui) quanto quelle interne non immediatamente localizzabili (per esempio il cablaggio nelle pareti).

Abbiamo affrontato il problema delle esposizioni domestiche nell'ambito delle attività facenti capo alla Convenzione CNR-ENEL, che si è svolta dal 1992 al 1994. Tra le altre cose abbiamo sviluppato uno strumento di misura del campo magnetico a 50 Hz (di cui in Figura 4 viene mostrato il sensore) adatto a caratterizzare tanto sorgenti singole quanto il fondo ambientale di un appartamento. Utilizzando, come si nota in figura, un sensore isotropo, esso permette la determinazione contemporanea delle tre componenti del vettore, ed ha un campo di misura esteso da 0.01 µT a 1 mT.

Per le sorgenti singole, abbiamo proceduto alla caratterizzazione di un buon numero di piccoli elettrodomestici, eseguendo in laboratorio misure di campo magnetico nel loro intorno, lungo tre assi ortogonali di riferimento opportunamente scelti, intersecantisi in un centro elettrico convenzionale. E` stato anche possibile individuare una procedura matematica, basata sul metodo dello sviluppo in multipoli, che permette di ricostruire il campo in un punto qualsiasi lungo una data direzione, a partire dai valori misurati lungo quella direzione, con una espressione in serie di potenze di (1/d) dove "d" è la distanza dal centro elettrico: la teoria permette di dimostrare che non possono esistere termini con esponente minore di 3; approssimazioni sufficientemente accurate si ottengono in molti casi già con soli tre termini dello sviluppo (esponenti 3, 4 e 5); la situazione è esemplificata in Figura 5, che riporta i valori di campo magnetico misurati (simboli) e ricostruiti (linea continua) intorno ad un comunissimo asciugacapelli elettrico. Si noti come, in stretta prossimità (meno di 10 cm), sia superato anche il limite di sicurezza INIRC-IRPA (100 µT per le esposizioni di durata indefinita), mentre i valori sono maggiori della soglia epidemiologica fino a circa 60 cm di distanza.

Per la caratterizzazione del fondo ambientale, a causa della complessità delle situazioni reali, non esistono validi modelli di previsione numerica e le misure rimangono l'unico approccio valido. Il fondo ambientale può essere rilevato acquisendo misure in punti predefiniti dell'appartamento, secondo un preciso protocollo spaziale e temporale.

Il nostro gruppo ha collaborato alla definizione del protocollo adottato dalla fase pilota del SETIL, lo Studio multicentrico sulla Eziologia dei Tumori Infantili Linfoemopoietici e dei neuroblastomi coordinato dal dr. Corrado Magnani dell'Università di Torino, in svolgimento in questo periodo; abbiamo di recente eseguito campagne di misura con questo protocollo, espressamente concepito per evidenziare e caratterizzare la variabilità spaziale e temporale del campo magnetico nelle abitazioni.

Dall'analisi delle misure sono emerse alcune considerazioni che può valer la pena riferire.

1.Il campo magnetico del fondo a 50 Hz negli ambienti domestici presenta una notevole variabilità temporale a breve e medio termine, nella quale è possibile talvolta riconoscere una ciclicità giorno/notte.

2.Esso risulta più elevato negli appartamenti condominiali e minore nelle abitazioni singole; ciò potrebbe essere dovuto all'influenza del cablaggio comune e al contributo degli appartamenti limitrofi, visto che tra l'altro il fondo è assai poco influenzato dalla accensione di elettrodomestici nell'appartamento analizzato.

3.All'interno di un dato appartamento esiste una notevole variabilità spaziale da stanza a stanza, mentre all'interno di una stanza la variabilità è molto più limitata, al punto che una singola misura presa nel centro rappresenta in genere in modo abbastanza significativo la media spaziale dei valori nella stanza stessa.

4.I valori tipici del fondo ambientale sono in genere non solo abbondantemente al di sotto dei limiti di sicurezza raccomandati dalle normative, ma anche inferiori alla soglia di attenzione epidemiologica; quest'ultima affermazione può non essere più vera se l'appartamento si trova a breve distanza da un elettrodotto.

Le prime due considerazioni sono ben documentate dalla Figura 6, che riporta e confronta le misure di induzione magnetica eseguite su un arco di 20 ore, con periodo di campionamento di 5 minuti, in un punto di un tipico appartamento in condominio urbano (linea superiore) e di una abitazione singola in quartiere periferico semirurale (linea inferiore).





Tiriamo le fila.



Giunti alla fine di questa discussione sul problema ELF, ed è ora di tentare di trarre qualche conclusione.

Si è visto come le norme di sicurezza, costruite sulla base degli elementi certi del problema, portino ad indicare come accettabili livelli almeno 400 volte superiori a quelli che gli studi epidemiologici indicano, in caso di esposizione cronica, come in grado di favorire l'insorgenza di patologie molto gravi. Si è anche visto che livelli significativamente superiori alla soglia epidemiologica si trovano assai frequentemente nell'ambiente, sia nei pressi degli elettrodotti, sia in prossimità di apparecchiature elettriche di uso comune. Questa situazione è evidentemente all'origine delle preoccupazioni della popolazione. Come farvi fronte? Non abbiamo la presunzione di avere la soluzione a questo quesito, tuttavia qualche indicazione ci sembra di poterla dare.

Innanzitutto una parola sul luogo comune secondo il quale "sono necessarie ulteriori ricerche per chiarire la questione". Sono in molti a ritenere che difficilmente nuove indagini epidemiologiche potranno modificare sostanzialmente il quadro della situazione; sebbene sarà interessante, per esempio, constatare quale è la situazione italiana (sulla quale per ora non si hanno dati epidemiologici), non ci si deve comunque aspettare che SETIL, se riuscirà a giungere al termine, possa alterare significativamente il quadro delle conoscenze acquisite. Secondo questo punto di vista, sarebbe più opportuno concentrare le risorse disponibili per la ricerca su altri due fronti. Innanzitutto l'indagine biologica, nel tentativo di individuare il famoso meccanismo d'azione; in secondo luogo il settore ingegneristico, per perfezionare le tecniche già note di abbattimento delle intensità dei campi o svilupparne di nuove. Qualcosa è già stato fatto in questo campo: per esempio, l'utilizzo di linee elettriche a geometria "compatta" e delle tecniche split phases permette di ridurre i livelli di campo magnetico dispersi dagli elettrodotti e/o di renderne più rapido il loro decadere con la distanza. Analogamente, si sono ottenuti risultati anche sul fronte della riduzione delle emissioni delle apparecchiature elettriche, come per esempio nel caso dei cosiddetti "monitor a bassa emissione" per personal computer. Anche nell'ottica di una corretta applicazione del principio ALARA, è necessario allargare ed approfondire queste tecniche e iniziarne l'applicazione sistematica in occasione, per esempio, delle nuove installazioni o delle nuove produzioni.

Queste ultime considerazioni rimandano immediatamente alla questione dell'utilizzo ottimale delle risorse. Esso non può essere affrontato compiutamente senza una preventiva analisi dell'impatto sanitario del problema ELF.

Esiste in proposito una valutazione dell'Istituto Superiore di Sanità (chi volesse vederla nei dettagli può trovarla nell'articolo Campi magnetici e tumori: elementi per valutazioni di rischio nella realtà italiana, pubblicato da C.Petrini, A.Polichetti e P.Vecchia negli Atti del XXVIII Congresso Nazionale dell'Associazione Italiana di Protezione contro le Radiazioni, tenutosi a Taormina nell'ottobre 1993) nella quale, sulla base di calcoli molto prudenziali, si mostra che nella peggiore delle ipotesi, anche dando per certo l'aumento del rischio leucemico per i bambini che vivono in prossimità di elettrodotti, ci si dovrebbe aspettare in Italia al più un caso di morte per leucemia ogni anno imputabile alla esposizione al campo magnetico. Sebbene possa apparire cinica, viene spontanea la considerazione che esistono sicuramente settori dove le risorse disponibili per la prevenzione sanitaria possono essere impiegate con efficacia (in termini di vite salvate in rapporto alla spesa sostenuta) molto maggiore di quella che si otterrebbe utilizzandole per abbattere le esposizioni alle ELF, per esempio spostando, innalzando o interrando tutti gli elettrodotti.

Si sente frequentemente sostenere l'opinione che, nell'ottica della massima tutela della salute pubblica, si dovrebbe operare come se la cancerogenicità del campo magnetico a 50 Hz fosse accertata; è un punto di vista attraente, ma impraticabile: non disponiamo delle risorse necessarie per varare un programma globale di abbattimento delle esposizioni sotto la soglia epidemiologica senza provocare conseguenze più gravi del rischio ipotetico che si vuole prevenire. Ciò non toglie che sia doveroso intervenire là dove è ragionevolmente possibile, cioè dove, con l'impiego di risorse sensate, si possa ottenere la riduzione dell'esposizione per ampi bacini di popolazione.

Resta comunque il problema del rapporto con l'opinione pubblica, oggi non più disponibile (se mai lo è stata) ad accettare passivamente decisioni che in qualche modo diano l'impressione di compromettere la propria sicurezza o qualità di vita, ma anzi incline, in casi del genere, a trattare con sospetto e diffidenza i propri amministratori e la stessa comunità scientifica.

Non essendo evidentemente perseguibili approcci di tipo autoritario o paternalistico, non resta che la via del cosiddetto consenso informato. Si tratta di presentare alla popolazione, con pazienza e linguaggio appropriato, tutti gli aspetti della questione, i pro e i contro di ogni alternativa, in modo da ottenerne il consenso sulla base non della fiducia ma della valutazione ponderata; è un approccio lungo e oneroso, che richiede il concorso fattivo di tutte le istituzioni coinvolte.

Alla comunità scientifica si chiede di esporre con chiarezza le proprie conoscenze, distinguendo tra fatti certi, ipotesi più o meno accreditate ed opinioni. Ai mezzi di informazione è affidato il compito di riportare correttamente queste informazioni, dando ugualmente spazio a tutte le opinioni, evitando di esaltare quelle che sostengono opzioni allettanti ma impraticabili o criminalizzare chi, in buona fede, ritiene che ci si stia preoccupando eccessivamente. Agli amministratori si chiede la trasparenza: motivare efficacemente le proprie scelte, in modo da poter dimostrare, fatti alla mano, di perseguire una politica di equa ripartizione tra i cittadini delle inevitabili situazioni di rischio o disagio che il vivere in una società complessa come la nostra comporta, mostrando nel contempo che tale complessità è l'unica in grado di garantire quei benefici, in termini di durata e qualità della vita, di cui le nostre generazioni stanno indubbiamente godendo.


Torna all'inizio
Torna all'indice del materiale documentativo ed informativo
Torna alla Presentazione della Linea di Ricerca