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Pagina Web a cura della Linea di Ricerca su Protezione dai campi elettromagnetici a bassa frequenza, radiofrequenza e microonde. |
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Conferenza pubblicaI CAMPI ELETTROMAGNETICILugano, 23 novembre 2000 |
I campi elettromagnetici, se di sufficiente intensità, possono sicuramente risultare pericolosi per la salute o la sicurezza degli individui esposti. La sperimentazione su volontari ed animali ha permesso di identificare un insieme di effetti dannosi e di determinarne le soglie. La tipologia degli effetti ed i valori delle soglie dipendono in maniera determinante dalla frequenza del campo. A frequenze superiori a qualche centinaio di chilohertz, i rischi sono legati al riscaldamento dei tessuti. A frequenze più basse, i rischi hanno origine dalle interferenze tra le correnti indotte dai campi e le correnti elettrofisiologiche associate alla percezione sensoriale ed alla motilità muscolare.
Storicamente, la questione della possibile pericolosità dei campi elettromagnetici (CEM) a radiofrequenza (RF) e microonde (MW) è emersa nel secondo dopoguerra, come conseguenza dello sviluppo delle applicazioni di questo agente fisico, all'inizio soprattutto in ambito militare (radar e telecomunicazioni).
Successivamente, la diffusione nei Paesi industrializzati delle applicazioni civili dei CEM (telecomunicazioni, controllo del traffico aereo, processi industriali, diagnosi e terapia medica, per citarne solo alcune) e l'utilizzo di tecnologie che in qualche modo li producono e diffondono nell'ambiente (trasmissione dell'energia elettrica, per esempio) hanno determinato un significativo aumento della loro presenza sul territorio, provocando ben presto una reazione di preoccupazione, quando non di vero e proprio allarme, nella popolazione esposta, anche a causa della diffusione non sempre corretta di informazioni da parte dei media.
Sul piano sanitario, i primi effetti dannosi riportati come conseguenza dell'esposizione ad intensi CEM (cataratta, sterilità) erano di tipo indiscutibilmente termico, essendo imputabili al surriscaldamento di alcuni organi bersaglio particolarmente vulnerabili (cristallino, gonadi). Dal punto di vista normativo, si delinearono ben presto due scuole di pensiero. La prima, tipica dei paesi occidentali, vedeva in questi effetti termici l'unico meccanismo di azione dei CEM e portava quindi a normative miranti a difendere gli esposti da eccessivo riscaldamento locale o sistemico; mediante sperimentazione su volontari ed animali, venne identificato il valore di 100 W/m2 come limite di densità di potenza ritenuto sicuro per l'esposizione continuativa della popolazione. La seconda, diffusa nei paesi dell'est europeo, dava credito all'esistenza di una multiforme casistica di effetti non termici, consistenti principalmente in disturbi più o meno soggettivi, che venivano ricondotti ad alterazioni del sistema nervoso conseguenti (almeno apparentemente) ad una esposizione prolungata (cronica) a CEM di livelli anche molto bassi. Questo approccio conduceva a fissare soglie di sicurezza notevolmente più basse di quelle termiche (anche 1000 volte, in termini di potenza).
Non essendo stato possibile accertare e descrivere quantitativamente gli effetti segnalati, di questa seconda impostazione non è rimasta praticamente più traccia e le norme di sicurezza emanate dalle varie istituzioni internazionali si fondano oggi sulla prevenzione dei soli effetti acuti, gli unici scientificamente accertati. La conoscenza di tali effetti si è nel frattempo approfondita, essendo stati ben chiariti sia gli effetti comportamentali conseguenti ad un moderato e prolungato riscaldamento sistemico sia gli effetti acuti non termici causati dalle esposizioni ad intensi campi di frequenza inferiore a un centinaio di chilohertz circa. Questo approfondimento ha portato ad una revisione verso il basso dei limiti di sicurezza, determinando di fatto un riavvicinamento ai limiti fissati in base ai presunti effetti cronici.
Esiste un'altra problematica che la ricerca scientifica non ha finora potuto chiarire definitivamente, anch'essa di vecchia data, ma che recentemente ha riscosso molto interesse nei media e nell'opinione pubblica: si tratta della possibilità che le esposizioni croniche ai campi elettromagnetici anche di basso livello possano favorire l'insorgere di alcune patologie tumorali. La più dibattuta, perché supportata da un grande numero di indagini epidemiologiche più o meno controverse, è l'associazione tra esposizione al campo magnetico a 50 Hz (generato per esempio da elettrodotti ed elettrodomestici) e l'incidenza di alcune forme di leucemia infantile. Sebbene l'ipotesi di cancerogenicità dei campi elettromagnetici sia stata sottoposta ad una indagine scientifica serrata, non sono stati finora evidenziati elementi di consistenza tale da suggerire una revisione dei limiti di sicurezza vigenti.
Questa situazione ha finito col generare nella popolazione una notevole apprensione per tutto quello che riguarda i campi elettromagnetici, riconducibile al almeno tre diverse concause che può valer la pena elencare.
Per far fronte a questa situazione, nella maggior parte dei Paesi industrializzati sono all'opera gruppi di ricerca e sono stati istituti organi di sorveglianza con lo scopo di approfondire la conoscenza sulla pericolosità dei CEM e fornire tanto una adeguata tutela quanto appropriate informazioni alla popolazione esposta o comunque preoccupata del problema.
Tutti gli aspetti del problema sono stati e vengono sistematicamente indagati: dallo sviluppo di nuove strumentazioni e tecniche di misura e calibrazione alla messa a punto di metodi di valutazione teorica delle intensità dei campi, dall'indagine sui meccanismi fisici e biofisici di accoppiamento tra campi ed organismi esposti alle ricerche biomediche in vitro ed in vivo ed alle indagini epidemiologiche sulla popolazione, dall'esecuzione di campagne di controllo ambientale alla indivuduazione di metodiche di risanamento dove necessario.
Si tratta quindi di un settore altamente attivo, nel quale vengono immesse considerevoli risorse e dal quale sono stati prodotti negli ultimi anni migliaia di articoli e testi scientifici di vario livello. Questo non ha però prodotto i frutti sperati sul versante del rapporto con la popolazione.
È opportuno precisare subito che il livello di apprensione che caratterizza l'attuale atteggiamento della popolazione e dei media nei confronti dei campi elettromagnetici appare in buona parte quanto meno sproporzionato, se raffrontato all'attenzione dedicata ad altre fonti di rischio sanitario o ambientale, alcune sicuramente più accertate e significative.
Vi sono due aspetti indipendenti da indagare quantitativamente quando si esegue un'indagine su un sospetto fattore di rischio sanitario o ambientale: stabilire la credibilità del rischio ("quanto è credibile che esista un rischio associato all'esposizione?"), stabilirne l'entità in termini di impatto sanitario o ambientale ("se il rischio esiste, che impatto ha sulla salute pubblica e sullo stato dell'ambiente?"). Nel caso dei campi elettromagnetici, anche riferendosi alla questione più conclamata della relazione tra campo magnetico a bassissima frequenza e leucemie infantili, non è stato finora possibile stabilire con certezza la credibilità del rischio mentre, dando questa per scontata, si è potuto dimostrare che la sua entità è comunque molto piccola in termini di sanità pubblica, se confrontata con quella associata ad altri rischi ambientali assai comuni. Ancora minori evidenze esistono a proposito di rischi sanitari connessi con le stazioni radio base per la telefonia cellulare.
Nessuna tecnologia, vecchia o nuova, è completamente esente da rischi. Anche se lo fosse, non sarebbe comunque possibile dimostrarlo a priori; quello che possiamo fare, quando vengono evidenziati elementi di sospetto nei confronti di una tecnologia, è intensificare gli studi e le ricerche per far emergere l'eventuale esistenza di rischi concreti. Per i campi elettromagnetici questo è stato fatto e lo si continua a fare, ma nessuna evidenza è emersa con chiarezza; una situazione di "rassicurante incertezza", come qualcuno ha argutamente osservato: se un rischio concreto e significativo fosse presente, la mole di studi eseguiti a seguito dei primi sospetti avrebbe finito per evidenziarlo. Una situazione in ogni caso non ideale, ma con la quale è necessario confrontarsi per trarre le giuste indicazioni.
Nella letteratura che si occupa di protezione dai CEM compaiono spesso termini quali "interazione", "effetto biologico" "rischio" e "danno", usati talvolta impropriamente, specie nella stampa non specialistica. È pertanto opportuno spendere qualche parola per chiarire la terminologia.
Quando un organismo biologico (per esempio un individuo) si trova immerso in un campo elettromagnetico, ha inevitabilmente luogo una interazione tra le forze del campo e le cariche e le correnti elettriche presenti nei tessuti dell'organismo. Come conseguenza dell'interazione, all'interno dell'organismo vengono indotte grandezze fisiche (campo elettrico, campo magnetico, densità di corrente) legate alla intensità ed alla frequenza dei campi, alle caratteristiche dell'organismo ed alle modalità di esposizione.
Il risultato della interazione è sempre una "perturbazione" intesa come deviazione dalle condizioni di equilibrio elettrico a livello molecolare; per poter parlare propriamente di effetto biologico, si deve però verificare una variazione (morfologica o funzionale) in strutture di livello superiore (tessuti, organi, sistemi). Un effetto biologico non costituisce necessariamente un danno: perché questo si verifichi, occorre che l'effetto superi la capacità di compensazione di cui dispone l'organismo, che dipende ovviamente anche dalle condizioni ambientali.
Col termine rischio, infine, si vuole in genere indicare la probabilità di subire un danno: in linea di principio, le norme di sicurezza dovrebbero mirare proprio a proteggere gli individui dal rischio di subire un danno a causa dell'esposizione ad un campo elettromagnetico, il che in genere significa fissare dei valori limite di esposizione che siano sufficientemente al di sotto dei livelli che provocano effetti biologici accertati.
Possiamo tentare una classificazione sommaria degli effetti dei campi elettromagnetici sugli individui umani, basata sulla distinzione tra effetti acuti e cronici.
Schematicamente, l'interazione tra un campo elettromagnetico ed un organismo può essere descritta iniziando dal meccanismo di accoppiamento fisico tra il campo ed il sistema biologico, a seguito del quale determinate grandezze fisiche (campi, cariche, correnti) vengono indotte nei tessuti dell'organismo esposto. Queste grandezze sono direttamente responsabili degli effetti acuti.
Per frequenze fino ad almeno alcune centinaia di chilohertz, le più autorevoli normative internazionali di protezione dai campi elettromagnetici riconoscono nella densità di corrente indotta nei tessuti (misurata in A/m2) il principale parametro con cui correlare l'esposizione agli effetti biologici che si manifestano negli individui esposti. Tali effetti consistono in una "interferenza" delle correnti indotte con i meccanismi fisiologici della percezione sensoriale e della attivazione muscolare, per cui l'esposizione, se sufficientemente intensa, si manifesta con sensazioni tattili o visive spurie o disturbate o con contrazioni muscolari involontarie.
A frequenze superiori, il parametro più significativo è il riscaldamento dei tessuti, provocato dalla potenza assorbita per unità di massa, detta SAR e misurata in W/kg.
Nella tabella seguente sono riportate le soglie di densità di corrente e di SAR per i principali effetti acuti: tra parentesi è indicata la banda di frequenza interessata; i termini "minimo" e "tipico" si riferiscono alla variazione da individuo ad individuo.
Soglia | Frequenza caratteristica |
Effetto |
---|---|---|
1 mA/m2 | 10-100 Hz | Rumore elettrofisiologico di fondo |
10 mA/m2 | 20 Hz | Valore minimo per la generazione di fosfeni (allucinazioni visive) |
100 mA/m2 | 10-400 Hz | Valore minimo per la stimolazione dei recettori nervosi periferici (percezione di formicolii e sensazioni analoghe) |
0.5 A/m2 | 10-100 Hz | Valore tipico per la stimolazione di contrazioni nella muscolatura scheletrica |
0.8 A/m2 | Valore minimo per l'eccitazione di extrasistole ventricolari. | |
2 A/m2 | Soglia minima di innesco della fibrillazione ventricolare con tempi di stimolazione di almeno 1 secondo | |
0.08 W/kg | > 100 kHz | Limite di sicurezza per l'esposizione della popolazione
secondo ICNIRP 1998 |
0.4 W/kg | Limite di sicurezza per le esposizioni professionali
secondo ICNIRP 1998 |
|
1.2 W/kg | Valore tipico del calore prodotto spontaneamente da un organismo umano in condizioni di riposo (metabolismo basale) | |
4 W/kg | Valore minimo a cui sono stati evidenziati effetti sperimentali su volontari, in caso di riscaldamento sistemico | |
100 W/kg | Soglia tipica per danni termici su organi bersaglio (cataratta, sterilità) |
La figura riporta alcune delle soglie di densità di corrente in funzione della frequenza per i più importanti effetti acuti:
1 | rumore elettrico che un tessuto sperimenta a causa dell'attività elettrofisiologica degli organi vicini |
2 | limite primario per la popolazione secondo ICNIRP-1998 |
3 | generazione di fosfeni per interferenze sul nervo ottico |
4 | eccitazione delle terminazioni nervose sensoriali |
5 | eccitazione delle terminazioni nervose motorie; rischio di extrasistole e di fibrillazione ventricolare |
6 | effetti termici: valore considerato sicuro per le esposizioni professionali (0.4 W/kg) |
I limti specificati nelle norme di sicurezza non corrispondono direttamente alle soglie degli effetti acuti riportati nella tabella e nel grafico precedenti, ma ne sono inferiori di un margine di sicurezza (pari di solito a 10 dB), necessario a tenere conto di (1) eventuali ipersensibilità individuali; (2) incertezze sui modelli dosimetrici e (3) margini di errore della strumentazione impiegata per l'accertamento dell'esposizione.
I livelli così individuati costituiscono i limiti massimi per le esposizioni professionali, che si applicano cioè a coloro che hanno a che fare con campi elettromagnetici nell'ambito della propria attività lavorativa.
Per definire limiti validi per la "popolazione in genere", tutte le più autorevoli normative introducono un ulteriore margine di sicurezza (tipicamente circa 7 dB) per tenere conto di una serie di fattori (età, stato di salute, coscienza dell'esposizione, grado di addestramento, sorveglianza sanitaria) che suggeriscono l'adozione di maggiori cautele per questa categoria.
Poiché le soglie degli effetti acuti sono note in funzione dei valori della densità di corrente indotta e del SAR, queste ultime vengono considerate grandezze primarie dalle norme di sicurezza ed i loro rispettivi valori massimi ammissibili sono considerati limiti primari. Essendo però, di fatto, estremamente difficile misurare i valori delle grandezze primarie nelle condizioni reali di esposizione (è tutt'al più possibile calcolarli in condizioni standardizzate e semplificate), le norme di sicurezza specificano anche i cosiddetti limiti derivati, cioè i valori massimi ammissibili delle intensità dei campi in assenza dell'individuo esposti, grandezze più facilmente accessibili alla misura diretta. I modelli dosimetrici costituiscono gli strumenti fisico-matematici che permettono di risalire dalle grandezze derivate a quelle primarie, cioè di stabilire la distribuzione di densità di corrente indotta o di SAR in un individuo esposto, una volta che siano note le condizioni di esposizione e le caratteristiche del campo elettromagnetico nel teatro espositivo.
Le più autorevoli tra le raccomandazioni costruite sulla base del procedimento illustrato sono quelle periodicamente emanate dall'International Commission for Non Ionising Radiation Protection (ICNIRP). In figura sono riportati i limiti di campo elettrico proposti nell'ultima revisione di queste raccomandazioni (pubblicata sulla rivista Health Physics, volume 74, numero 4, aprile 1998) e per confronto quelli previsti da un recente decreto del Ministero dell'ambiente (pubblicato sulla G.U. serie generale, numero 257, 3-11-1998).
Linee guida ICNIRP aprile 1998, esposizioni professionali | |
Linee guida ICNIRP aprile 1998, esposizioni della popolazione | |
Decreto Ministero dell'ambiente 10 settembre 1998, n. 381, esposizioni di durata inferiore alle quattro ore | |
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Daniele Andreuccetti, IROE-CNR, 2000.