CAPITOLO 6


STRUMENTAZIONE PER LA MISURA DEI CAMPI
D.Andreuccetti - Istituto di Ricerca sulle Onde Elettromagnetiche "Nello Carrara"


Estratto dal volume "PROTEZIONE DAI CAMPI ELETTROMAGNETICI NON IONIZZANTI"
Terza Edizione, IROE-CNR
Finito di stampare nel giugno 2001 presso il Centro Stampa 2P di Firenze
Composizione editoriale: Riccardo Vanni
Disegni di: Carlo Bacci


6.1 Introduzione

Negli interventi di sorveglianza fisica delle esposizioni ai campi elettromagnetici (EM) a radiofrequenza (RF) e microonde (MW, dall'inglese microwaves) si presenta di frequente la necessità di eseguire misure per determinare le intensità dei campi presenti nei siti esaminati.

L'esecuzione di una misura appare, sulla carta, estremamente semplice, pur di disporre della strumentazione adeguata: si pone il sensore nel punto dove si vuole effettuare la misura e si legge sullo strumento ad esso collegato l'intensità del campo presente.

In realtà vari fattori concorrono a far sì che la situazione non si presenti mai così banale, per esempio:

Per tutti questi motivi, è essenziale affrontare ogni misura con spirito critico ed evitare di fidarsi ciecamente di uno strumento. Sarà sempre opportuno verificare il responso strumentale con valutazioni a tavolino, o confrontare i risultati di misure indipendenti, eseguite con strumenti o procedure diverse.

In questo capitolo ci occuperemo delle attrezzature tecniche (strumentazione) che si utilizzano per le misure.

Nel paragrafo 6.2 verrà delineata la struttura di massima di tali strumenti, descrivendo brevemente le funzioni affidate a ciascuna parte.

Nel successivo § 6.3 si esamineranno, con riferimento anche a questa struttura, le esigenze imposte dalla situazione di misura.

Discuteremo poi (§ 6.4 ÷ 6.7) le caratteristiche generali della strumentazione esistente, in rapporto sia alla struttura presentata al § 6.2 sia alle esigenze delle varie situazioni di misura illustrate nel paragrafo 6.3.

Completeranno il capitolo un accenno ai metodi di calibrazione della strumentazione (§ 6.8) ed una breve rassegna degli apparati di misura e calibrazione realizzati dall'IROE nel corso della sua attività nel settore della protezionistica (§ 6.9).


6.2 Conformazione generale degli apparati di misura

Esiste una certa varietà di strumenti commerciali per misure di protezionistica RF/MW ed altri ne vengono continuamente realizzati dai laboratori e dalle aziende operanti nel settore, per affrontare situazioni particolari. Tali strumenti possono differire notevolmente tra di loro, ma la loro struttura generale ricalca in genere un modello comune in cui si possono riconoscere, come mostrato in Figura 6-1, tre subassiemi fondamentali: il sensore, la linea di collegamento e l'apparato di misura e visualizzazione.

Figura 6-1 Struttura tipica di un apparato per misure a RF e MW.

Il sensore è l'elemento (in genere metallico) che si accoppia ai campi in cui è immerso e genera ai suoi terminali una grandezza elettrica (tensione e/o corrente) istantaneamente proporzionale al campo cui il sensore risponde. Talvolta si usa il termine antenna in alternativa a sensore. Noi adotteremo quest'ultima denominazione solo per le strutture di dimensioni paragonabili o maggiori alla lunghezza d'onda della radiazione misurata.

La linea di collegamento trasferisce il segnale dal sensore all'ingresso dell'apparato di misura: la sua importanza non va sottovalutata, si tratta spesso di una delle parti più critiche dell'intero strumento e può rendersi talvolta responsabile di complicazioni ed errori nella procedura di misura.

L'apparato di misura infine, mediante una elaborazione elettronica del segnale ricevuto, ricava e fornisce all'operatore una indicazione quantitativa dell'intensità dell'agente misurato.


6.3 Esigenze di misura

La definizione dello strumento adatto ad una particolare misura (e cioè quale sensore, collegamento e apparato convenga usare) deve tener conto di diversi fattori, tra cui come minimo quelli di seguito analizzati.

6.3.1 Frequenza

Ogni parte dello strumento interessata dal segnale a radiofrequenza o microonde oggetto di misura, deve essere in grado di operare alla frequenza di tale segnale. Questa esigenza riguarda sempre il sensore e spesso (a seconda del principio di funzionamento dello strumento) anche la linea di collegamento e l'apparato di misura.

Per questo motivo, tra i parametri che caratterizzano ogni strumento o ogni parte di esso figura sempre la banda passante. Essa specifica l'intervallo di frequenze a cui il dispositivo fornisce una risposta corretta, entro determinati margini di errore.

Può capitare che la sorgente sotto sorveglianza emetta contemporaneamente su più frequenze. In questo caso, sono possibili due strategie di misura.

Si può operare a banda stretta utilizzando strumentazione con una ridottissima banda passante, centrata attorno a ciascuna delle frequenze a cui la sorgente emette. In alcuni casi ciò può voler dire usare uno strumento (o parte di esso) diverso per ogni frequenza di misura, ma più spesso si fa uso di apparati sofisticati in cui la frequenza di misura e la larghezza di banda possono essere selezionate dall'operatore con appositi comandi e resta tutt'al più da cambiare solo il sensore in funzione della frequenza.

Si può altrimenti operare a banda larga, usando uno strumento la cui banda passante abbracci tutto lo spettro emesso dalla sorgente. Lo strumento fornisce in questo caso una misura globale dell'intensità dei campi o della radiazione presente nel sito di misura.

Operare a banda larga è in generale l'approccio più economico ed immediato e probabilmente il più adatto alle esigenze delle misure di protezionistica. Esso soffre comunque di almeno una potenziale limitazione: non può essere utilizzato quando le norme di sicurezza cui ci si vuole riferire prevedono limiti massimi diversi per le diverse frequenze emesse dalla sorgente. Un esempio chiarirà il problema. Supponiamo di dover verificare la sicurezza di un sito di apparati per radiodiffusione comprendente impianti AM ad Onde Medie (frequenza 0.3 ÷ 3 MHz), ad Onde Corte (frequenza 3 ÷ 30 MHz) ed FM (frequenza 88 ÷ 108 MHz) facendo riferimento allo standard ICNIRP del 1998 per la popolazione in genere. Sembrerebbe di poter risolvere la questione con una sola misura, dato che esistono molti strumenti a banda così larga da abbracciare tutte e tre le gamme. Invece sarà necessario utilizzare sistemi a banda stretta ed eseguire varie misure indipendenti, poiché i limiti previsti dallo standard ICNIRP per la gamma delle Onde Medie sono diversi da quelli per le Onde Corte e da quelli per le FM e addirittura sotto ai 10 MHz i limiti stessi variano con continuità in funzione della frequenza.

È inoltre necessario ricorrere alle misure a banda stretta anche qualora a banda larga si rilevi un valore complessivo dell'intensità di campo maggiore del limite specificato dalla normativa presa a riferimento (ancorché questa risulti uniforme nell'intervallo di frequenze emesse dalla sorgente); in questo caso occorre infatti, com'è ovvio, determinare singolarmente il contributo di ciascuna sorgente, in modo da disporre dei dati necessari a pianificare le opportune procedure per la riduzione a conformità.

6.3.2 Collocazione del sito di misura rispetto alla sorgente

Come è stato mostrato nel paragrafo 1.5, la struttura del campo elettromagnetico generato da una sorgente varia notevolmente con la distanza da questa. Riprendiamo alcuni dei concetti presentati, evidenziandone gli aspetti connessi con le prestazioni della strumentazione.

Per distanze dalla sorgente superiori a circa una lunghezza d'onda siamo nella zona di radiazione; in questa regione i campi hanno una struttura di tipo radiativo tanto più marcata quanto più ci si allontana dalla sorgente. La struttura radiativa è caratterizzata da campo elettrico e campo magnetico perpendicolari sia tra di loro sia alla direzione di propagazione; le loro ampiezze decrescono in modo inversamente proporzionale alla distanza dalla sorgente e stanno in un rapporto fisso tra di loro, che dipende solo dalle caratteristiche del mezzo in cui i campi si stanno propagando. Tale rapporto ha le dimensioni di una resistenza e prende il nome di impedenza intrinseca del mezzo; nel caso del vuoto, essa vale circa 377 Ω.

In questa situazione, l'intensità della radiazione elettromagnetica può essere univocamente specificata indicando o l'ampiezza del campo elettrico o quella del campo magnetico o la densità di potenza, che rappresenta la quantità di energia che attraversa in un tempo unitario una superficie unitaria posta perpendicolarmente alla direzione di propagazione dei campi. Nel paragrafo 1.5 è stato mostrato come ricavare ognuna di queste grandezze dalle altre.

Quando le dimensioni della sorgente sono grandi rispetto alla lunghezza d'onda, è opportuno considerare la zona di radiazione ulteriormente suddivisa in una zona di campo vicino o di Fresnel ed una zona di campo lontano o di Fraunhofer, col limite di separazione posto grosso modo ad una distanza d2/λ dalla sorgente, dove "d" è la massima dimensione lineare della stessa e "λ" la lunghezza d'onda. La zona di Fresnel, a causa degli intensi fenomeni di interferenza che vi hanno luogo, è caratterizzata da un andamento molto irregolare delle ampiezze dei campi, con forti variazioni su piccole distanze (dell'ordine di un quarto di lunghezza d'onda); anche in questa zona comunque, i campi conservano con buona approssimazione la struttura radiativa.

Resta infine da parlare della zona di induzione, posta nelle immediate vicinanze della sorgente. La sua importanza per la protezionistica è ovvia, trattandosi della regione dove più facilmente si incontrano campi molto intensi. Questi hanno le caratteristiche di campi reattivi: il campo elettrico e quello magnetico sono strettamente legati alla struttura ed alla dislocazione delle rispettive sorgenti fisiche (cariche per il primo, correnti per il secondo) e non sono deducibili uno dall'altro. Il rapporto tra le loro ampiezze (indicato talvolta come impedenza di campo) varia grandemente a seconda del tipo di sorgente e del punto dove i campi sono valutati. Le sorgenti a struttura aperta, sedi di alte tensioni e basse correnti (per esempio, le armature di un condensatore), producono campi ad alta impedenza (maggiore di quella intrinseca del mezzo), caratterizzati da intensi campi elettrici e campi magnetici deboli o nulli; viceversa, quelle a struttura chiusa (bobine, elevate correnti con tensioni limitate) generano campi a bassa impedenza, con prevalenza del campo magnetico.

I campi reattivi decadono più rapidamente di quelli radiativi con la distanza dalla sorgente (in modo inversamente proporzionale almeno al quadrato della stessa) per cui sono predominanti solo fino a circa un decimo di lunghezza d'onda da quella, mentre divengono trascurabili per distanze superiori ad una lunghezza d'onda.

Nella zona di induzione perde di importanza, dal punto di vista protezionistico, il concetto di densità di potenza, poiché il fenomeno predominante non è il flusso di potenza che si irradia dalla sorgente (come nella zona di radiazione), ma bensì lo scambio di energia tra il generatore e i campi elettrico e magnetico. L'energia associata con questi ultimi è immagazzinata nello spazio in analogia con quanto avviene all'interno di un condensatore o di una bobina, come mostrato nel CAPITOLO 1 (si vedano le relazioni (1-11) e (1-26)). Se per esempio una data sorgente produce un intenso campo elettrico con un campo magnetico debole o nullo (alta impedenza di campo), il flusso di potenza radiata risulta basso o nullo, ma non è certo bassa o nulla la pericolosità connessa con il forte campo elettrico.

Infine, permangono anche nella zona di induzione le rapide variazioni spaziali dell'intensità dei campi che abbiamo visto essere presenti nella zona di Fresnel.

6.3.3 Potenza emessa dalla sorgente, modulazione

La potenza emessa dalla sorgente è un fattore molto importante ai fini di un corretto dimensionamento della strumentazione.

I parametri pertinenti nelle specifiche di questa sono la sensibilità e la gamma dinamica; la prima indica il livello del minimo segnale misurabile, la seconda il rapporto tra il minimo ed il massimo misurabili.

La sensibilità è limitata soprattutto dal rumore e dalla stabilità del sistema di misura, la dinamica dipende dal massimo sovraccarico tollerabile dallo strumento senza alterazione della linearità della risposta o addirittura danni di qualche tipo.

Queste considerazioni sono particolarmente significative quando si trattano segnali con modulazione impulsiva a basso ciclo di servizio (tipica dei segnali RADAR), che presentano una notevole intensità di picco con basso valore medio. In tale caso, se si utilizzano, come spesso avviene, strumenti che misurano il valore medio, occorrono contemporaneamente un'alta sensibilità per apprezzare i bassi valori medi ed un'ampia dinamica per tollerare ed integrare correttamente i valori di picco degli impulsi.

6.3.4 Compatibilità elettromagnetica

L'apparato di misura deve essere compatibile con l'ambiente elettromagnetico in cui opera, sia sotto l'aspetto dell'emissione sia sotto quello della suscettibilità.

Il problema dell'emissione nasce perché qualunque strumento elettronico appena un po' complesso contiene nel suo interno sorgenti di potenziali disturbi elettromagnetici (come oscillatori locali o generatori di segnali di temporizzazione). Occorre evitare che tali disturbi raggiungano il sensore e causino errori di misura. Questo si ottiene schermando l'elettronica dello strumento con pannelli metallici. In generale, quello dell'emissione non è un grosso problema nelle misure di radioprotezione, dove i segnali da misurare sono intensi e di conseguenza gli strumenti non sono eccessivamente sensibili.

Per quanto riguarda la suscettibilità, si noti che di solito tutto l'apparato di misura, anziché il solo sensore, si trova immerso nel campo elettromagnetico di cui si vuole determinare l'ampiezza. Occorre evitare che questo si accoppi direttamente a parti dell'apparato che non siano il sensore. La stessa schermatura applicata per ridurre l'emissione può servire a limitare l'accoppiamento del campo allo strumento di misura. Il problema maggiore resta la linea di collegamento. Quando questa trasporta un segnale a corrente continua (come in alcuni apparati a rivelazione diretta, di cui si parlerà), il problema può essere affrontato utilizzando linee ad alta resistenza terminate con filtri passa-basso. Quando invece la linea trasporta direttamente il segnale a RF captato dal sensore, occorre ricorrere a mezzi più generali (applicabili per altro anche al caso precedente) quali l'utilizzo del cavetto schermato e del doppino ritorto (una coppia di fili strettamente intrecciati).

6.3.5 Fattori contingenti legati al sito ed agli apparati

Ci possono essere numerosi altri elementi da tenere in considerazione nel progettare una campagna di misure, in relazione alle caratteristiche sia della sorgente del campo elettromagnetico sia del sito dove deve avvenire la misura. Per questo motivo è opportuna una certa familiarità con le possibili sorgenti inquinanti, che permetta all'operatore di prefigurarsi la situazione e prepararsi conseguentemente.

Una rassegna delle caratteristiche più significative delle principali sorgenti si trova nel CAPITOLO 5 di questo volume.


6.4 Sensori per la zona di induzione

Per la misura dei campi nella zona di induzione occorrono sensori che rispondono o solo al campo elettrico o solo al campo magnetico, poiché, come si è visto nel § 6.3.2, non esiste alcuna relazione semplice tra i due, che devono perciò essere misurati entrambi e in modo indipendente (a meno che dalle caratteristiche della sorgente non si possa dedurre che uno dei due è nettamente predominante). Inoltre il sensore deve essere in grado di effettuare misure puntuali, poiché possono essere presenti notevoli variazioni spaziali delle intensità dei campi. Entrambi questi requisiti possono essere soddisfatti da sensori ad accoppiamento reattivo.

Si parla di accoppiamento reattivo (e si usa in questo caso il termine sensore reattivo), quando l'interazione fra sensore e campo avviene tramite il solo campo elettrico o il solo campo magnetico, con meccanismi analoghi a quelli che hanno luogo nei componenti circuitali a costanti concentrate. Per esempio, una spira per misure di campo magnetico (di cui si parlerà nel § 6.4.2) funziona esattamente come il secondario di un trasformatore il cui primario è costituito dalle correnti che generano il campo stesso che si vuole misurare. Detto in altre parole, ha luogo una interazione diretta tra il sensore e la sorgente del campo a cui il sensore risponde (carica per il campo elettrico, corrente per il campo magnetico); le cariche nella sorgente di campo elettrico inducono cariche nel sensore di campo elettrico, le correnti nella sorgente di campo magnetico inducono correnti nel sensore di campo magnetico. L'accoppiamento reattivo è quindi un fenomeno analogo all'induzione statica, con la differenza che la variazione temporale del campo si riflette direttamente ed istantaneamente sulla variazione della risposta del sensore. Per questo motivo si usa spesso il termine quasi-statico in riferimento a questo tipo di interazione.

Avremo un accoppiamento capacitivo quando interessa il campo elettrico, induttivo quando interessa quello magnetico. Vedremo come in entrambi i casi è fondamentale che non vi sia variazione di fase del campo nella regione occupata dal sensore: questo perciò deve avere dimensioni lineari molto piccole rispetto alla lunghezza d'onda, diciamo al più 1/10 di quella.

6.4.1 Sensori di campo elettrico ad accoppiamento capacitivo

L'accoppiamento capacitivo ha luogo se il sensore ha una struttura aperta, costituita da due masse metalliche confinate in una regione tanto piccola che il campo elettrico si possa considerare uniforme in essa. Per induzione elettrica, si formano sulle due masse delle cariche elettriche di segno opposto; la variazione temporale di tali cariche, originata dalla variazione del campo elettrico inducente, costituisce una corrente elettrica nel circuito di misura che collega le due masse; questa corrente, direttamente proporzionale alla intensità istantanea del campo inducente ed alla sua frequenza, rappresenta il segnale elettrico reso disponibile dal sensore. Un sensore capacitivo di questo tipo, a struttura aperta, filiforme, che abbraccia un'area limitata (al limite nulla) e tanto corto che non si possano avere richiusure ad anello nemmeno a causa degli accoppiamentii parassiti, è pressoché insensibile al campo magnetico. Considerato che le sue piccole dimensioni si riflettono anche in una buona risoluzione spaziale, si capisce come questa classe di sensori sia adatta a funzionare come sensori di campo elettrico per misure nella zona di induzione.

Per descrivere quantitativamente il comportamento dei sensori reattivi è conveniente ricorrere ad un modello circuitale. Per i sensori elettrici è appropriato utilizzarne uno costituito da un generatore di tensione in serie a una impedenza capacitiva. La forza elettromotrice sviluppata (a vuoto) dal generatore è proporzionale alla ampiezza del campo elettrico che investe il sensore; la costante di proporzionalità ha le dimensioni di una lunghezza e prende il nome di lunghezza (o altezza) efficace del sensore. Il valore di tale lunghezza, come pure quello della capacità che costituisce l'impedenza del modello, dipendono dalla struttura geometrica del sensore.

Il più comune tra i sensori di questo tipo è il dipolo corto (Figura 6-2). Esso può assumere forme svariate, ma in sostanza è sempre costituito da due bracci metallici isolati, allineati e contrapposti, di lunghezza complessiva piccola rispetto alla lunghezza d'onda; i terminali di uscita del segnale sono gli estremi vicini di tali bracci. Il tipo più classico ha i bracci molto sottili (diametro "d" molto minore della lunghezza "h") e si presenta quindi come un doppio stilo filiforme. In tale caso, è possibile dimostrare che la lunghezza efficace è pari a metà di quella fisica:

(6-1)

L'impedenza ai terminali è quasi esclusivamente reattiva ed equivale ad una capacità il cui valore, per dipoli molto sottili e con gli estremi affacciati molto vicini, è dato da:

(6-2)

dove ε è la costante dielettrica assoluta del mezzo che circonda il dipolo. La risposta in frequenza di un tale sensore (intesa come rapporto tra la tensione ai terminali e l'intensità del campo elettrico) è piatta a circuito aperto o su carico puramente capacitivo, mentre con carico resistivo assume l'andamento di un filtro passa-alto a 6 dB/ottava. L'impedenza interna si mantiene elevata a tutte le frequenze a cui il sensore può essere utilizzato. Per esempio, per un rapporto h/d pari a 100 ed alla massima frequenza di utilizzo (orientativamente quella per la quale la lunghezza h è un decimo della lunghezza d'onda), l'impedenza interna è quasi 30 volte maggiore dell'impedenza tipica dei dispositivi commerciali a radiofrequenza (pari a 50 Ω). La lunghezza limitata e l'impedenza elevata si riflettono negativamente sulla sensibilità del dipolo.

Figura 6-2 Dipolo corto. Figura 6-3 Spira piccola.

La scarsa sensibilità costituisce per altro una delle principali limitazioni di tutti i sensori ad accoppiamento reattivo.

6.4.2 Sensori di campo magnetico ad accoppiamento induttivo

L'accoppiamento induttivo ha luogo se il sensore ha una struttura anulare chiusa che abbraccia una superficie tagliata dalla linee di forza del campo magnetico e di estensione tanto piccola da poter considerare uniforme il campo stesso su di essa. Per induzione magnetica, si forma nell'anello ed è disponibile ai terminali una differenza di potenziale proporzionale all'intensità del campo magnetico ed alla sua frequenza (vedi capitolo 1, relazione (1-49)). Un sensore di questo tipo risulta pressoché insensibile al campo elettrico. Infatti, essendo questo campo uniforme nella zona di spazio occupata dal sensore, complessivamente si ha una cancellazione delle tensioni da esso indotte in ogni tratto dell'anello. Per questo motivo e per la buona risoluzione spaziale, questa classe di sensori si dimostra adatta a funzionare come sensori di campo magnetico per misure nella zona di induzione.

Per descrivere circuitalmente i sensori magnetici, risulta appropriato un modello costituito da un generatore di tensione con una impedenza induttiva in serie. La tensione indotta (a vuoto) è direttamente proporzionale sia alla ampiezza del campo magnetico sia alla sua frequenza; la costante di proporzionalità, come pure il valore dell'induttanza che costituisce l'impedenza del modello, sono direttamente legati alla geometria del sensore.

Il più semplice sensore di questo tipo è la spira piccola (Figura 6-3): si tratta di una spira metallica circolare piana di circonferenza piccola rispetto alla lunghezza d'onda; i terminali di uscita del segnale sono ricavati interrompendo in un punto qualunque la spira stessa. Se la spira è filiforme (diametro "d" del conduttore che la costituisce molto minore del diametro "D" della spira stessa) è possibile trovare la seguente espressione per il rapporto fra tensione indotta V e campo magnetico H:

(6-3)

dove "f" è la frequenza del campo e µ la permeabilità magnetica del mezzo che circonda la spira; l'impedenza ai terminali è quasi esclusivamente reattiva ed equivale ad una induttanza:

(6-4)

La risposta di un tale sensore con carico resistivo (intesa come rapporto tra la tensione ai terminali e l'intensità del campo magnetico) ha, anche in questo caso, l'andamento di un filtro passa alto a 6 dB/ottava. A tutte le frequenze a cui il sensore può essere utilizzato, l'impedenza interna si mantiene relativamente bassa: per un rapporto D/d pari a 100 e alla più alta frequenza di utilizzo (corrispondente, come ordine di grandezza, a quella per la quale la circonferenza πD è un decimo della lunghezza d'onda), tale impedenza è poco più del triplo del valore comunemente in uso per il materiale a radiofrequenza.


6.5 Sensori per la zona di radiazione

Come abbiamo visto nel § 6.3.2, grazie alla particolare struttura del campo radiativo, in questa zona è sufficiente misurare il solo campo elettrico, oppure il solo campo magnetico, oppure la densità di potenza: le grandezze non direttamente misurate possono essere dedotte da quella misurata con semplici relazioni algebriche.

6.5.1 Zona radiativa vicina

In questa zona, le notevoli variazioni spaziali delle ampiezze dei campi (frange di interferenza) impongono l'uso di sensori con alta risoluzione spaziale (dell'ordine almeno di 1/4 di lunghezza d'onda). Per questo motivo, si devono usare anche qui i sensori di piccole dimensioni (ad accoppiamento reattivo) impiegati nella zona di induzione.

Solo in alcuni casi, nella parte più "lontana" della zona di Fresnel, si possono cominciare ad utilizzare antenne, specie se a larga banda e operanti alle frequenze più basse della loro gamma utile, dove il rapporto tra le dimensioni lineari e la lunghezza d'onda è minore.

6.5.2 Zona radiativa lontana

Nella regione dei campi radiativi "lontani" si possono eseguire misure di campo EM utilizzando liberamente i sensori ad accoppiamento radiativo, ovvero le antenne. Si tratta di strutture di grandi dimensioni, paragonabili o superiori alla lunghezza d'onda della radiazione misurata, che funzionano come elemento di transizione tra la propagazione nello spazio libero di un campo elettromagnetico e la propagazione guidata all'interno della linea di collegamento.

Quando un'onda che si propaga con le modalità dello spazio libero investe un'antenna, in uscita da questa (guida d'onda o cavo coassiale) è presente un'onda guidata che trasporta potenza in quantità direttamente proporzionale alla potenza per unità di superficie (densità di potenza) che investe l'antenna stessa. La costante di proporzionalità fra queste due quantità ha le dimensioni di una superficie e prende il nome di area equivalente o efficace dell'antenna; essa dipende sensibilmente anche dal carico applicato all'uscita di questa: normalmente, il valore specificato dal costruttore si riferisce ad un carico resistivo di 50 Ω. In questo modo, con un unico parametro si rende contemporaneamente conto dell'efficienza con cui l'antenna raccoglie potenza dall'onda che la investe e di quella con cui cede tale potenza ad uno strumento di misura con impedenza di ingresso normalizzata.

È opportuno a questo punto evidenziare alcuni concetti:

Esiste una grandissima varietà e disponibilità commerciale di antenne standard. Diamo uno sguardo ai tratti caratteristici di alcune di esse.

Il dipolo a mezz'onda è una antenna a banda stretta avente una struttura analoga a quella del dipolo esaminato nel § 6.4.1, con la differenza di avere una lunghezza complessiva "h" pari alla metà della lunghezza d'onda della radiazione da misurare. La sua lunghezza efficace risulta pari a 2h/π, mentre l'impedenza corrisponde ad una resistenza di 73 Ω circa, in serie con una reattanza induttiva di 43 Ω circa. Il dipolo a mezz'onda viene comunemente utilizzato per misure di campi EM a polarizzazione orizzontale (campo elettrico parallelo al suolo) ed è conveniente soprattutto per frequenze da 35 a 1000 MHz. Naturalmente occorre un dipolo diverso per ogni singola frequenza e questo diminuisce l'utilità pratica di tale antenna; per ovviare in parte a tale limitazione, sono disponibili in commercio dipoli "sintonizzabili", cioè dotati di bracci regolabili in lunghezza (telescopici).

Figura 6-4 Antenna biconica Figura 6-5 Antenna log. Periodica

L'antenna biconica è una delle più diffuse antenne standard per misure di campo. Essa ha grossomodo la struttura di un doppio cono come mostrato in Figura 6-4. Si tratta di una antenna a banda larga, usata per lo più a polarizzazione orizzontale, che copre la gamma da 20 a 200 MHz. I suoi parametri dipendono purtroppo dalla frequenza in modo irregolare e non monotono; si veda per esempio l'andamento dell'area equivalente (con carico di 50 Ω) in funzione della frequenza, riportato in Figura 6-6, per un esemplare tipico di tale antenna.

Figura 6-6 Area equivalente di una tipica antenna biconica in funzione della frequenza.

L'antenna logaritmica periodica (schematizzata in Figura 6-5) è costituita da una successione di dipoli paralleli e complanari, di lunghezza ed interdistanza progressivamente crescenti, tutti collegati tra di loro. E` una antenna a larga banda (da 200 a 1000 MHz) a polarizzazione lineare.

Figura 6-7 Antenna a spirale conica logaritmica. Figura 6-8 Antenna a tromba.

L'antenna a spirale conica logaritmica (Figura 6-7) è costituita da una spirale conduttrice che si avvolge su una superficie conica con un passo che diminusce procedendo dalla base verso il vertice. Si tratta di una antenna a larga banda, a polarizzazione circolare, disponibile in due modelli standard, dimensionati per funzionare rispettivamente da 200 a 1000 MHz e da 1 a 10 GHz. E` caratterizzata da una area equivalente che varia con la frequenza in maniera abbastanza regolare, come mostrato nella Figura 6-9 per il tipo che copre la gamma da 200 a 1000 MHz.

Figura 6-9 Area equivalente in funzione della frequenza di una tipica antenna a spirale conica logaritmica per la banda da 0.2 a 1 GHz.

Le trombe a guadagno standard (Figura 6-8) sono antenne realizzate mediante progressivo allargamento di una guida d'onda rettangolare; sono indicate per misure nella banda SHF (3-30 GHz) e nella parte più bassa della EHF (30-300 GHz); presentano valori di area equivalente pari ad una frazione (tipicamente 0.5-0.9) dell'area geometrica della bocca.


6.6 Polarizzazione, isotropia

Un sensore si dice polarizzato se fornisce una risposta dipendente dal suo orientamento spaziale rispetto al campo da misurare. Esempi tipici sono i dipoli, che forniscono un segnale proporzionale al coseno dell'angolo tra il campo elettrico e la direzione dei bracci. Analogamente, presentano una direzione privilegiata i sensori a spira, l'antenna biconica e la logaritmica periodica. Invece, le antenne a spirale conica logaritmica hanno una risposta uniforme qualunque sia la direzione del campo elettrico nel piano normale all'asse del cono, mentre sono insensibili alla componente del campo lungo tale asse. E` possibile anche realizzare sensori isotropi (ottenuti per esempio per combinazione di tre sensori polarizzati linearmente), in cui la risposta è completamente indipendente dalla direzione del campo misurato.

I sensori isotropi semplificano sicuramente la misura, in quanto sollevano l'operatore dalla necessità di preoccuparsi dell'orientamento del sensore. Essi inoltre diventano indispensabili quando la polarizzazione del campo misurato varia rapidamente nel tempo (come nel caso dei campi a polarizzazione ellittica, descritti nel paragrafo 1.5). Per contro, l'impiego di sensori polarizzati consente di ricavare una informazione in più dalla misura e cioè la direzione del campo misurato. Essa può essere abbastanza significativa anche in ambito protezionistico poiché, come mostrato nel CAPITOLO 3, l'accoppiamento del corpo umano al campo elettromagnetico è fortemente dipendente dalla polarizzazione di quest'ultimo.


6.7 Strumenti di misura

Lo strumento di misura elabora il segnale a RF prodotto dal sensore e mostra all'operatore, su di un opportuno dispositivo di visualizzazione, alcuni parametri caratteristici del segnale ricevuto. Si è soliti classificare gli strumenti, a seconda del principio di funzionamento, in due grandi categorie: strumenti a rivelazione diretta oppure ad accoppiamento a radiofrequenza.

6.7.1 Strumenti a rivelazione diretta

Un apparato a rivelazione diretta si compone, come mostrato in Figura 6-10, di un equalizzatore, un rivelatore, un filtro passa basso, un amplificatore in continua ed un dispositivo indicatore.

L'equalizzatore (non sempre presente) è una rete lineare di componenti passivi avente lo scopo di compensare le variazioni della risposta in frequenza del sensore, rendendola più piatta possibile, o comunque adattandola alle esigenze di misura (per esempio: conformità ad uno specifico standard di sicurezza).

Il segnale - eventualmente equalizzato - prodotto dal sensore raggiunge il rivelatore che, nella maggior parte dei casi, fornisce in uscita una tensione continua proporzionale al valore quadratico medio del segnale a RF presente al suo ingresso ("rivelazione quadratica"), ovvero in definitiva al valore quadratico medio del campo (elettrico o magnetico) cui il sensore risponde. Nei campi radiativi quest'ultimo è proporzionale alla densità di potenza della radiazione.

Figura 6-10 Schema di apparato a rivelazione diretta.

I tipi più comuni di rivelatori di questo tipo sono il diodo a semiconduttore e la termocoppia.

Nel diodo a semiconduttore, la rivelazione quadratica ha origine nella nonlinearità della caratteristica tensione-corrente che, per segnali piccoli rispetto al potenziale di barriera, può essere approssimata con una parabola. Con questa ipotesi si può mostrare che, applicando al diodo una eccitazione (una tensione a RF) sinusoidale a valor medio nullo, circola in esso una corrente il cui valore medio (non nullo) è proporzionale al quadrato dell'ampiezza della tensione eccitatrice. Occorre tenere sempre presente che, per un diodo, la rivelazione segue la legge quadratica solo per segnali di eccitazione sufficientemente piccoli.

Nella termocoppia, la rivelazione quadratica ha origine termica. La corrente a RF che circola nel giunto caldo vi dissipa per effetto Joule una potenza che ne innalza la temperatura rispetto a quella del giunto freddo. Si genera perciò nella termocoppia una tensione continua legata al valor medio della potenza a RF dissipata e cioè al quadrato dell'ampiezza della corrente che vi circola.

In molti casi il rivelatore viene montato a contatto col sensore, per esempio saldato direttamente ai morsetti del dipolo o della spira; questa soluzione è molto usata con i sensori reattivi, ai quali è poco conveniente, a causa del disadattamento di impedenza, accoppiarsi a RF. In alcuni strumenti sensore e rivelatore sono addirittura meccanicamente indistinguibili, come avviene per certi apparecchi commerciali nei quali il sensore-rivelatore è costituito da una schiera di termocoppie a film sottile collegate in serie. Entrambe queste configurazioni si prestano assai bene alla realizzazione di sensori isotropi, semplicemente collegando in serie le uscite dei rivelatori di tre dipoli (o tre spire) disposti nello spazio lungo tre direzioni mutuamente ortogonali. Il corretto funzionamento di un sensore isotropo di questo tipo è strettamente legato al rispetto della legge di rivelazione quadratica, grazie alla quale la tensione continua totale disponibile in uscita è direttamente proporzionale al valore quadratico medio del campo (comunque polarizzato) che investe il sensore.

In altri casi (per esempio quando il sensore è una antenna standard) il rivelatore (quasi sempre un diodo) è un dispositivo a sé stante, collegato al sensore con uno spezzone di cavo coassiale o un tratto di guida d'onda.

In quest'ultima categoria possiamo far rientrare anche i wattmetri a RF con rivelatore a termistore (bolometri). Il termistore è costituito da una resistenza il cui valore dipende sensibilmente dalla temperatura; quando viene scaldato dalla potenza a RF da misurare, la sua temperatura aumenta, il valore resistivo varia e dalla misura della resistenza si può risalire alla potenza assorbita.

Il segnale a corrente continua fornito dal rivelatore passa attraverso un filtro passa basso a componenti passivi avente il duplice scopo di impedire che le correnti a RF prodotte dal sensore raggiungano gli stadi a valle del rivelatore e impedire anche che segnali a RF captati accidentalmente da questi ultimi stadi (si veda il § 6.3.4) raggiungano il rivelatore.

Il segnale così filtrato viene infine convenientemente amplificato da un amplificatore in continua e reso disponibile per la visualizzazione o altre semplici elaborazioni, come la determinazione del valore medio su tempi medio-lunghi (per integrazione elettronica) o il confronto con livelli di riferimento (per esempio, soglie previste dalla normativa).

Per la visualizzazione si impiegano dispositivi indicatori analogici (a lancetta) o numerici. A causa della rivelazione quadratica, talvolta la scala di questi dispositivi è tarata in unità di densità di potenza; questo tipo di indicazione ha però senso solo per misure nei campi radiativi (zona di Fresnel o di Fraunhofer) e non nella zona di induzione (campi reattivi). In quest'ultima, se il sensore è adatto, lo strumento è ancora utilizzabile ma occorre risalire col calcolo dall'indicazione fittizia di densità di potenza a quella realmente significativa di intensità di campo elettrico o magnetico.

Tutti questi strumenti sono più o meno equivalenti sul piano delle prestazioni. Essi hanno in genere il vantaggio di essere relativamente economici, semplici da usare e intrinsecamente a larga banda (a meno che questa non sia limitata dal sensore): è possibile trovare in commercio strumenti in grado di coprire una banda dal centinaio di kHz fino ai GHz. Per contro, questi strumenti presentano una sensibilità non eccellente e forniscono solo informazioni sull'ampiezza dei campi, non su frequenza o contenuto spettrale; in genere però, nessuna di queste limitazioni ha molto peso per le misure protezionistiche.

Per quanto riguarda la sensibilità va osservato che la limitazione maggiore proviene dalla deriva termica del rivelatore (in particolare se a termocoppia o a termistore), accentuata dall'accoppiamento in continua del successivo amplificatore: come conseguenza, spesso gli strumenti di questa categoria non possono essere usati nelle portate più sensibili (specie per misure all'aperto) a causa di una eccessiva instabilità dello "zero". Per dare delle indicazioni, uno strumento commerciale a termocoppia con una risoluzione nominale di 1 µW/cm2 difficilmente potrà essere usato all'aperto per valutare livelli inferiori a qualche decina di microwatt per centimetro quadrato (corrispondenti ad un campo elettrico dell'ordine di 10 V/m) e un buon sistema bolometrico a termistore potrà misurare affidabilmente solo livelli di almeno qualche microwatt (qui la sensibilità complessiva dipende dall'area equivalente del sensore). I sistemi con rivelatore a diodo sono più stabili e quindi sensibili, ma un limite esiste comunque, sia per la deriva termica dell'amplificatore sia per problemi di rumore e di compatibilità elettromagnetica; per dare una cifra, con un buon microvoltmetro si possono misurare tensioni DC dell'ordine di qualche decina di microvolt che, con un rivelatore tipico (sensibilità 0.5 mV/µW), equivalgono a potenze RF dell'ordine del decimo di microwatt.

6.7.2 Strumenti ad accoppiamento a radiofrequenza

Nei sistemi ad accoppiamento a radiofrequenza il segnale prodotto dal sensore giunge, attraverso una linea di collegamento a RF o MW (cavo coassiale, guida d'onda) ad uno strumento sofisticato in grado di ricavarne diverse informazioni tra le quali, come minimo, l'intensità e la frequenza fondamentale.

Tutti i sistemi di questo tipo (spettroanalizzatori, misuratori di campo, radioricevitori) si basano sul principio della conversione di frequenza. Il segnale ricevuto viene convertito in uno di ampiezza proporzionale ma di frequenza fissa (frequenza intermedia) e come tale filtrato, amplificato, rivelato e misurato. In questo modo si possono ottenere elevate sensibilità, soprattutto grazie al fatto che si amplificano segnali alternati (il che significa alti guadagni con basse derive) ed a banda molto stretta (raccogliendo così pochissimo rumore): sono facilmente raggiungibili potenze minime misurabili dell'ordine di 10-12 watt.

La grande quantità di informazioni che questi strumenti forniscono consente di eseguire misure molto complete e raffinate. Per contro, essi hanno un costo piuttosto elevato e sono di uso non semplicissimo, che richiede personale qualificato e dotato di competenze specifiche.


6.8 Accuratezza, calibrazione, errori

Nelle misure di protezionistica non vi dovrebbero essere esigenze di accuratezza molto spinte. Ha infatti poco senso spendere molte risorse per determinare con grande precisione il campo elettromagnetico presente nel sito esaminato, quando sull'interpretazione dei valori misurati esistono grossi fattori di indeterminazione, per esempio:

In ogni modo, uno dei principali fattori che determinano la precisione della misura è l'accuratezza con cui è stato calibrato lo strumento con cui essa viene eseguita.

Calibrare uno strumento significa correlare la sua indicazione con il valore effettivo del campo in cui è immerso il sensore. Questa correlazione dovrebbe tener conto di un grande numero di fattori, tra i quali la variazione della risposta con la frequenza, con l'orientamento del sensore, con la temperatura o altri parametri ambientali. In realtà, dato che molto spesso, in sede di misura, parametri come la frequenza o la polarizzazione del campo non sono noti in maniera esauriente, non sempre è possibile correggerne l'effetto.

Per eseguire una calibrazione, la soluzione più ovvia è quella di generare un campo campione di caratteristiche note, immergervi il sensore e mettere in corrispondenza l'ampiezza del campo con l'indicazione dello strumento.

Una soluzione alternativa consiste nel calibrare separatamente il sensore (con metodi indiretti, che non richiedano campi campione) e l'apparato di misura. Il problema reale è la taratura del sensore, poiché l'apparato di misura (in definitiva un voltmetro in continua o a RF) può essere tarato in maniera accurata semplicemente disponendo di un buon generatore di segnali RF.

6.8.1 Generazione di campi campione

Questo approccio, concettualmente semplice, non è privo di difficoltà pratiche: per generare un campo campione è necessario, in generale, disporre di una antenna calibrata cui applicare una potenza nota; così, il problema si sposta dalla calibrazione dello strumento originario a quella dell'antenna di riferimento e vale quanto sarà detto nel § 6.8.2. Il problema si semplifica (almeno in parte) nei casi in cui è possibile calcolare, con accuratezza adeguata alle esigenze della calibrazione, il campo generato da una antenna di riferimento, anziché doverlo misurare; questo è naturalmente possibile solo per alcuni tipi di antenne, caratterizzati da strutture geometriche particolarmente regolari.

Per la generazione di campi campione esistono molte tecniche standard, che prevedono l'impiego di dispositivi diversi a seconda del campo (elettrico, magnetico o elettromagnetico) che si vuole generare e della sua frequenza. Accenneremo ad alcune delle tecniche più diffuse.

Per generare un campo elettrico campione a frequenza molto bassa (fino ad 1 MHz circa) è conveniente utilizzare una struttura nota con il nome (un po' improprio) di antenna a gabbia ("cage antenna", Figura 6-11); si tratta essenzialmente di un grosso condensatore ad armature rettangolari piane e parallele, di dimensioni relativamente grandi rispetto alla distanza che le separa; tra le due armature è presente un campo elettrico con buona approssimazione uniforme (almeno lontano dai bordi) la cui intensità è data dal rapporto tra la tensione applicata alle armature (misurabile per esempio con un oscilloscopio) e la distanza che le separa. In questo campo elettrico viene immerso il sensore da calibrare. Esso deve occupare un volume piccolo rispetto allo spazio disponibile e deve essere posto sufficientemente distante dalle armature, in modo da non alterare la distribuzione di cariche sulle stesse e quindi il campo generato.

Figura 6-11 Antenna a gabbia.

Il dispositivo forse più diffuso per la generazione di campi elettromagnetici campione nell'intervallo di frequenze da 10 kHz a 300 MHz, è la cosiddetta cella TEM. Essa è costituita da una linea di trasmissione a 50 Ω di grandi dimensioni, che impiega come conduttore centrale una striscia metallica piana e come conduttore esterno (di massa) una struttura metallica a sezione rettangolare. In tale linea (collegata ad un generatore con impedenza di 50 Ω e richiusa all'altro estremo su una impedenza di ugual valore) esiste un modo dominante di propagazione (modo TEM) caratterizzato da campo elettrico e campo magnetico entrambi trasversali, cioè ortogonali alla direzione di propagazione, rappresentata dall'asse longitudinale. Esso costituisce l'unico modo possibile per frequenze relativamente basse: salendo in frequenza (oltre il limite superiore indicato), si possono eccitare e propagare nella linea dei modi superiori, a causa dei quali il campo presente diviene di più difficile caratterizzazione.

Infine, per generare un campo elettromagnetico campione a frequenza ancora superiore, i dispositivi maggiormente impiegati sono le estremità aperte di guida d'onda rettangolare (fino a qualche GHz circa) e le antenne a tromba piramidale (da 0.5 a 10 GHz circa).

6.8.2 Calibrazione di antenne

Per la calibrazione delle antenne accenneremo ad un metodo molto diffuso, incluso in alcune normative ufficiali (per esempio MIL-STD-461A); si tratta del metodo delle due antenne identiche, illustrato schematicamente in Figura 6-12. In esso si fa uso di due esemplari identici dell'antenna da calibrare, allineati uno di fronte all'altro ad una distanza "d" nota con precisione.

Figura 6-12 Schema del metodo delle due antenne identiche.

Si alimenta con un generatore la prima antenna con una potenza "Pi" e si misura con un ricevitore la potenza "Po" disponibile ai morsetti della seconda; poi si collegano direttamente tra di loro i cavi provenienti dal generatore e dal ricevitore, interponendo un attenuatore variabile di precisione; si aggiusta l'attenuazione introdotta al valore "A" (<1) tale che, ferma restando la potenza Pi emessa dal generatore, il ricevitore indichi lo stesso valore Po letto in precedenza; a questo punto è possibile risalire all'area equivalente "Ae" dell'antenna con la relazione:

(6-5)

dove λ è la lunghezza d'onda impiegata.

Il metodo, come si vede, non richiede che si misurino con grande accuratezza le potenze Pi e Po, ma solo la distanza "d" tra le antenne e l'attenuazione "A" introdotta nella seconda fase della misura; occorre inoltre conoscere con sufficiente precisione la lunghezza d'onda λ, ovvero la frequenza di lavoro. Il metodo è perciò assai preciso purché:

6.8.3 Errore di misura

La precisione finale della misura non dipende unicamente dall'accuratezza con cui il sensore, o tutto lo strumento di misura, è stato calibrato. Altri fattori da tenere presenti sono:

La combinazione di tutti i fattori di incertezza presenti costituisce l'errore di misura. Una sua stima è importante perché altrimenti non è possibile utilizzare correttamente il dato misurato, neanche in ambito protezionistico (per esempio, confrontarlo con gli standard di sicurezza). Il modo più semplice per stimare l'errore consiste nel calcolare l'errore massimo assoluto, dato dalla somma dei valori assoluti delle incertezze dovute a ciascun fattore. Si tratta di una stima molto grossolana e pessimistica, poiché equivale a supporre che tutti i fattori contribuiscano all'errore nello stesso verso e ciascuno nel peggior modo possibile. Una valutazione più ragionevole, ma più complessa, è quella dell'errore probabile, che si avvale di metodi statistici per tener conto del fatto che le incertezze dovute ai vari fattori si possono in parte compensare una con l'altra e non saranno mai comunque tutte contemporaneamente nella situazione peggiore. Le accuratezze tipiche che si possono, o si dovrebbero, ottenere nelle misure di campo per impiego protezionistico, sono dell'ordine del 40% (±3 dB).


6.9 Strumentazione originale realizzata all'IROE

Descriviamo alcuni dispositivi di misura realizzati presso l'IROE, che forniscono un esempio di soluzione ad alcuni dei problemi affrontati nel presente capitolo.

Per l'analisi dei campi dispersi da apparati industriali di riscaldamento a induzione, è stato realizzato un sensore isotropo di campo magnetico a rivelazione diretta, costituito da tre spire mutuamente ortogonali seguite da celle di filtraggio e diodi rivelatori; esso può misurare campi magnetici nell'intervallo da 0.4 a 5 A/m con risposta piatta (±1 dB) tra 0.35 e 7 MHz, anisotropia massima 1 dB e precisione di calibrazione ±0.5 dB.

In occasione di numerosi interventi su macchine per trattamenti industriali operanti nella gamma delle onde corte (3-30 MHz) (incollatrici del legno, saldatrici della plastica) si è potuto constatare che, in questo tipo di attività, difficilmente un apparato può essere caratterizzato (dal punto di vista protezionistico) una volta per tutte. Cambiamenti del tipo di lavorazione richiedono riconfigurazioni della macchina ed in particolare degli elettrodi (forma, dimensioni, spaziatura) che determinano profonde modificazioni della distribuzione ed intensità dei campi dispersi. In questa situazione risulta poco utile una caratterizzazione ambientale anche precisa e dettagliata ed è invece più efficace disporre di una valutazione della pericolosità dei campi dispersi semplice ed immediatamente aggiornabile. A questo scopo abbiamo relizzato un segnalatore di campi elettrici a larga banda (1 ÷ 150 MHz, brevetto CNR), la cui caratteristica peculiare consiste in una indicazione semaforica dei livelli di intensità dei campi in rapporto ad un prescelto standard di sicurezza: luce verde, nessun pericolo; luce rossa, zona interdetta; luce gialla esposizione permessa per un tempo limitato. Esso utilizza tre sensori a dipolo corto mutuamente ortogonali, ciascuno richiuso su un rivelatore a diodo; i tre segnali rivelati sono sommati in modo da ottenere, grazie alla legge quadratica, una uscita complessiva proporzionale al quadrato dell'intensità del campo elettrico, indipendentemente dalla sua polarizzazione. Lo strumento può essere usato anche da persona poco esperta di misure di campi EM e che non conosca i criteri e gli standard di sicurezza.

Per misure a frequenze dell'ordine di 1 GHz su radiofari TACAN, è stata realizzata una sonda a banda stretta costituita da:

Tale sonda può misurare densità di potenza minime dell'ordine di 0.01 µW/cm2, con una risoluzione spaziale di circa 20 cm.

In occasione di una indagine sulle radiazioni emesse dalle barriere a microonde impiegate ai caselli autostradali, è stata realizzata una sonda costituita da:

Tale sonda può misurare densità di potenza da 0.25 a 100 µW/cm2, con una accuratezza migliore di ±3 dB.

Per la caratterizzazione protezionistica di impianti radar è stato realizzato un sistema particolare (brevetto CNR) che si pone come obbiettivo di superare le difficoltà insite nella misura di campi elettromagnetici modulati ad impulsi con basso ciclo di servizio (dell'ordine di 1:1000), cui si è accennato nel § 6.3.3. Nel caso dei radar a queste difficoltà si aggiungono quelle dovute alla rotazione dell'antenna, per cui in definitiva la misura con i mezzi convenzionali diviene di fatto impossibile: lo strumento non indica praticamente niente (al più qualche rapido guizzo al passaggio del fascio), ma contemporaneamente rischia di subire danni a causa degli elevati valori impulsivi. Per ovviare a questi inconvenienti occorre catturare e fissare i valori di picco stessi (dimensionando su di essi la sensibilità e la robustezza della strumentazione) ed acquisire contemporaneamente i parametri temporali che permettano di ricostruire col calcolo i valori medi. La strumentazione realizzata per questo scopo impiega, come sensore, una antenna a spirale conica logaritmica AILTECH 93491-2 (area equivalente 24 cm2 a 1300 MHz), seguita da un rivelatore a diodo a barriera Schottky HP8473C con carico video di 500 Ω (sensibilità 0.13 mV/µW, rivelazione quadratica fino a circa 40 µW); il segnale rivelato subisce una preamplificazione di 20 dB (x10 in tensione) ed una particolare elaborazione che rende possibile la visualizzazione e la misura degli impulsi radar sullo schermo di un oscilloscopio a memoria digitale, dove si riescono a valutare con precisione ampiezze minime dell'ordine di 10 mV, equivalenti a 0.3 µW/cm2 in antenna.


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